La tartaruga

È arrivato nelle redazioni di tutti i giornali e di tutte le tv, ma nessuno ha voluto pubblicarlo. Il messaggio telegrafico si apriva con la scritta in maiuscolo “URGENTE”, ma tutti i direttori, grandi e piccoli, si sono precipitati al computer a premere il tasto che respinge al mittente un indesiderato messaggio in arrivo o addirittura lo disintegra.

Ma la direzione del nostro settimanale, riunita in seduta plenaria, ha detto che occultare quel messaggio non era giusto. E ha incaricato me di pubblicarlo e commentarlo. Lo faccio.

Il messaggio proveniva da Ginevra, dal Cio, da quel Comité International Olympique, fondato da Pierre de Coubertin: voleva… “risuscitare” gli antichi Giochi di Olimpia (soffriva di qualche criptata mania di grandezza, il nobiluomo). Oggi il Cio è il top degli organismi sportivi a livello mondiale. Il messaggio suonava così: “Il Comitato olimpico internazionale ha deciso che dalle gare di corsa dei prossimi Giochi olimpici che si terranno in Brasile nel 2016 venga esclusa l’Italia, in quanto ha tentato di nascondere l’inarrivabile, e per noi inammissibile, velocità dei propri atleti sotto il falso nome con il quale ha iscritto la propria delegazione: La Tartaruga”.

Hai capito? Per evitare che l’eccessiva velocità della quale, contagiati da Renzi, di certo hanno dato prova i nostri atleti (roba che, al loro confronto, il rimpianto Pietro Mennea fa la figura di un tetraplegico) costringesse il Cio a metterci fuori dal grande evento, il Comitato olimpico italiano ha iscritto ai Giochi olimpici la nostra delegazione con il nome La Tartaruga.

Naturalmente è tutto falso. Di vero c’è che in politica è apparso all’improvviso uno scattista e un velocista di grande classe, e ha trovato una tartaruga gigante a sbarragli la strada.

Non ero un tifoso di Renzi: lo sono diventato, e ho digerito anche la gelida accoglienza che Renzi ha riservato a Enrico Letta al passaggio della campanella. Ma oggi le facce dei più incoscienti ostruzionisti me le sogno anche di notte. Quella greve di Vannino Chiti. Quella falsamente adolescenziale di Pippo Civati. Quella inutilmente frivola di Giulietto Chiesa.

Ma quando mi appare in sogno la sua faccia, mi sveglio grondante sudore. La sua, quella di Niki Vendola. Lui, il conclamato rappresentante del proletariato di risulta, sa bene che solo una rapida conclusione della stagione delle riforme permetterà alla nostra economia di ripartire.

Lo sa, e continuando a riempirsi la bocca dei problemi dei disoccupati e dei cassintegrati, presenta in Parlamento qualcosa come 8.000 emendamenti alla proposta di legge sul nuovo Senato. Ottomila, ridotti poi a 6.000 per una rottura del pallottoliere. Seimila: l’optimum contro la ripresa. Lo conoscevo come un retore di straordinaria qualità: come il cesellatore sommo della sintassi della nostra lingua, il Mozart dei chiacchieroni. Ma nemmeno immaginavo che sapesse contare, addirittura fino a 6.000, dopo aver fallito gli 8.000 come un alpinista in pensione.

AUTORE: Angelo M. Fanucci