di Francesco Bonini
È una strada stretta, quella dei diritti umani. Una strada maestra, ma ricca di trabocchetti, una strada accidentata. Papa Francesco ha scelto di percorrerla, come sempre, con franchezza e guardando negli occhi i suoi interlocutori, nel tradizionale discorso al Corpo diplomatico. È stato un anno di successi diplomatici per la Santa Sede, il 2017. Ma bisogna guardare avanti, a questo nuovo anno in cui cade l’anniversario tondo della fine della Grande guerra, che in realtà è stata solo il primo atto di quella che si definisce ormai una “guerra dei trent’anni”. La cui fine viene sancita, settant’anni fa, dalla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo approvata nel 1948. E Francesco non manca di sottolineare il grande valore di fondo di quel catalogo, peraltro molto coerente con il messaggio evangelico, ma anche le contraddizioni e le violazioni che ha patito nel corso di questi settant’anni.
Nel discorso c’è tutto delle tensioni e delle speranze che si spalmano sul planisfero. Ci sono i Rohingya, così come tutti i focolai di guerra e le speranze di pace. Emergono tre temi trasversali: la famiglia, il lavoro e, soprattutto, le migrazioni – tema su cui il Papa si diffonde, lanciando un nuovo e pressante appello planetario. La menzione speciale per Italia, Germania e Grecia, in questo senso, assume un particolare significato, quasi a indicare che un approccio insieme inclusivo e sostenibile è concretamente possibile. Al di là tuttavia dell’attualità, che il Papa come sempre affronta direttamente e senza alcuna remora, vale la pena di soffermarsi su due punti strutturali.
Il primo è la libertà di religione, ivi compreso il diritto di cambiare religione.
La religione, ricorda il Papa, fa parte dell’identità della persona umana. E della sua dignità, verrebbe di aggiungere; e non può essere mai strumentalizzata. Il secondo punto è relativo ai “nuovi diritti”, quelli cosiddetti di terza e quarta generazione, che si trovano “non di rado in contrapposizione tra loro”. A questo proposito Francesco denuncia “moderne forme di colonizzazione ideologica dei più forti e dei più ricchi a danno dei più poveri e dei più deboli”, costretti a privarsi della propria identità. Questo vale non solo tra Nord e Sud del mondo, ma anche dentro le nostre società. Infatti, mentre continuano forme di prevaricazione violenta dei diritti, altre più subdole ma non meno gravi avanzano, che tendono a scalzare diritti fondamentali (ad esempio quello alla vita) con altri diritti più “liquidi” e più insinuanti, che di fatto li negano. Per cui risulta oggi più che mai decisivo il criterio evangelico di partire dai deboli, dagli ultimi, dai poveri, come controprova della non mistificazione a proposito dei diritti.
Francesco conclude sui doveri. Proprio qui è il punto. L’affermazione e la rivendicazione dei diritti è vuota retorica se non è fondata sullo scrupoloso adempimento dei doveri. Una lezione da cui ripartire con fermezza e serenità, smascherando ogni ideologismo.