Tutti sanno, o dovrebbero ormai sapere, che l’insegnamento della Religione cattolica nelle scuole pubbliche – sia statali sia parificate – si inserisce nelle finalità educative della scuola. Esso ha infatti lo scopo di far conoscere agli studenti i contenuti di una concreta specifica religione, quella cattolica, che ha segnato profondamente la storia italiana.
Non si tratta dunque di una catechesi per formare i credenti, ma di un insegnamento per educare i cittadini e renderli capaci di saper leggere i segni della tradizione culturale italiana (pittura, scultura, musica, letteratura ecc.) e riconoscere le peculiari radici, gli eventi, i valori etici della tradizione italiana.
Il ministro Profumo ha detto che, dato il crescente numero di studenti che provengono da culture e religioni diverse, bisognerebbe “rivedere” i programmi di Religione e, anzi, “trasformarli radicalmente”.
Bene. Crescerà così il numero di cittadini del tutto ignari di ciò che costituisce l’identità culturale e spirituale della loro patria e incapaci di capire e gustare, ad esempio, la Divina Commedia e il significato della maggior parte delle opere che riempiono i nostri musei e le gallerie d’arte, come accadde a quel tizio che, vedendo il catino absidale di una cattedrale con il mosaico del Cristo Pantocrator, pensava ad un ciclope in trono attorniato da uomini in abiti antichi e animali esoterici.
Cresce il numero dei piccoli immigrati di altre culture e religioni? Deve allora crescere la necessità di favorire una loro serena integrazione anche attraverso la conoscenza della storia, della cultura, dei contenuti e dei valori spirituali di quella religione che non solo è maggioritaria, ma che ha segnato in profondità il volto della storia italiana.
Al Ministro è forse sfuggito questo aspetto, come pure la distinzione tra insegnamento culturale e catechesi ecclesiale. L’inopportuna sua dichiarazione è l’occasione buona per ricordarlo.