Quando la signorina Scolastica rifiutò la pensione

Sì, alla completezza della nostra formazione di preti imminenti fu un danno enorme quello di averci impedito, tra il 1958 e il 1961, a noi che studiavamo teologia alla Lateranense, implumi pulcini dell’almo efebeo del Seminario romano maggiore, di conoscere Chénu, Congar, De Lubac, Daniélou e soprattutto Rahner.
La signora Teologia, lontano dall’aria pesante di Roma, aveva maturato una convinzione: il fedele servizio che le aveva reso la sua domestica, la signorina Scolastica Filosofia, non le era più sufficiente a rendere al mondo il servizio che il mondo chiedeva a lei.
“Signorina Scolastica, lei ha maturato i diritti alla pensione e quella bellissima casetta che io possiedo ai piedi dell’Appennino centrale gliela metto a disposizione per sempre: lì godrà tutto il riposo e la pace che merita”.
Apriti cielo! La reazione della signorina Scolastica alla proposta della signora Teologia fu quanto meno isterica: urlava, strepitava, batteva i pugni sulla porta (quella di cuoio imbottito), vomitava sulla Signora insulti assortiti: vero mostro d’ingratitudine nei suoi confronti, secondo lei la Signora stava per rinunciare alla bella virtù per concedersi al primo lanzichenecco che dalle brume del Nord Europa si fosse presentato alla porta della sua camera da letto.
“Ingrata! Ma non si ricorda di quando mio padre saliva da Sant’Arpino di Caserta per offrirle, tutte per lei, scamorze profumate e i fiori delle zucche, belli e sorridenti fino a un attimo prima di finire in padella?!”. Eravamo in settembre, e le rimostranze della signorina Scolastica coglievano tra i ricordi simbolici, quelli più giusti.
“Ma… vede, Signorina, i tempi sono cambiati, e a me oggi viene richiesto un servizio diverso da quello richiesto ieri, o meglio l’altro ieri”. Niente da fare. Le reazioni della signorina Scolastica si facevano sempre più violente, e il linguaggio evocava quello dei carrettieri d’un tempo.
Fuor di metafora, è andata proprio così. Da secoli la cultura occidentale ci chiedeva di prendere atto sia delle sue conquiste sia della nuova angolazione dalla quale essa prendeva in considerazione il mondo. Con Cartesio aveva iniziato il suo cammino la filosofia del soggetto; anche chi, come lo scrivente, conservava fiducia piena nella filosofia dell’oggetto elaborata dalla cultura greca e fatta propria della teologia scolastica, non poteva e non può ignorare quello che hanno insegnato Kant, Fichte, Hegel. No, non si tratta di dover leggere da capo a fondo La fenomenologia dello Spirito di Hegel, a meno che uno abbia da scontare dei delitti gravissimi, ma è necessario prendere atto che la cultura del soggetto può rendere un grande servizio alla teologia e alla fede cattolica. E il Concilio ne ha preso atto, legittimando prima questa operazione nella Gaudium et spes, e attuandola poi nella Sacrosanctum Concilium, nella Lumen gentium e soprattutto nella Dei Verbum.

AUTORE: Angelo M. Fanucci