A Francesca Di Maolo, presidente dell’Istituto Serafico di Assisi, abbiamo chiesto di parlarci delle sua esperienza nell’Aris, l’Associazione religiosa degli istituti socio-sanitari. “Da circa un anno – dice – faccio parte del Consiglio nazionale Aris quale presidente Aris della regione Umbria. Da oltre cinquant’anni l’Aris riunisce e rappresenta istituti di ricovero e cura a carattere scientifico, ospedali classificati, presidi ospedalieri, case di cura e centri di riabilitazione, impegnate nella rigorosa tutela della vita e della dignità della persona. L’associazione agisce sotto la vigilanza della Cei e opera secondo gli orientamenti morali e della dottrina sociale della Chiesa”.
A grandi linee, di che cifre stiamo parlando?
“La sanità cattolica rappresenta, per numeri e qualità, una quota significativa della sanità italiana, alla quale accedono giornalmente cittadini di tutte le regioni, Umbria compresa, confermando un credito guadagnato nel servizio quotidiano alla persona malata, disabile e anziana. Le istituzioni di matrice ecclesiale gestiscono circa 45.000 posti letto sul territorio nazionale, e vi lavorano 70.000 operatori sanitari. In questi dati non sono ricomprese le numerosissime Rsa e Case per anziani, ma, in un’indagine della Cei del 2009, sono stati stimati 14.246 servizi socio-assistenziali e sanitari ecclesiali presenti sul territorio nazionale”.
Com’è la situazione sanitaria umbra?
“La sanità italiana è stata travolta dalla crisi economica. Su questo ambito, la nostra posizione è quella di non accettare alcun arretramento: è un problema di giustizia sociale e di rispetto della vita. La situazione sanitaria della nostra regione è sicuramente migliore di tante altre.
Le istituzioni socio-sanitarie d’ispirazione cattolica umbre sono però sottoposte a uno stress gestionale e organizzativo che, in tempi di crisi come l’attuale, mette a repentaglio la sostenibilità del servizio stesso. Le strutture sanitarie cattoliche sono enti senza scopo di lucro che hanno come obiettivo la missione stessa per cui sono state fondate: non il profitto. Ogni risorsa di un’istituzione di ispirazione cristiana viene investita per la cura e l’assistenza della persona.
Per tale ragione auspichiamo che le pubbliche istituzioni ci valorizzino anzitutto distinguendo, nell’ambito dei soggetti privati, enti profit ed enti non profit, parificando questi ultimi ai soggetti pubblici sul piano della programmazione, della produzione di servizi e della remunerazione delle relative prestazioni”.
Cosa chiedete agli amministratori?
“In questo momento la nostra regione è impegnata nella programmazione socio-sanitaria. I nostri amministratori devono contemperare la necessità di realizzare un equilibrio di bilancio, e quindi un approccio di tipo economicistico, con la tutela della salute, bene primario della persona.
Come sanità cattolica, chiediamo in primo luogo di partecipare ai Tavoli di programmazione regionale, al fine di poter condividere un percorso che conduca a trovare soluzioni di sostenibilità. Auspichiamo, inoltre, che ogni scelta politica possa essere compiuta guardando con obiettività alla persona e ai suoi bisogni.
Come presidente dell’Istituto Serafico di Assisi, mi auguro che il disabile non sia visto come una persona da assistere, ma come una persona da valorizzare in tutte le abilità presenti, garantendo la pienezza della vita. Il malato, il disabile, l’anziano sono icona del limite e della fragilità umana, ma nel contempo sono testimoni privilegiati di umanità, che vanno necessariamente ascoltati”.