La rosa tra i fiori tropicali

GEMELLAGGIO tra Cascia e la città di Guiguinto, nelle Filippine, in nome di santa Rita

Le Filippine e santa Rita, un binomio inscindibile. Sembra strano, ma è così: la gente che vive nell’arcipelago asiatico venera molto la piccola, grande donna di Roccaporena di Cascia. Fa effetto rendersi conto di come da quel piccolo paese incastonato nella montagna umbra sia partito un messaggio di perdono e di amore in grado di unire molte persone nel mondo. Stupisce sentire la gente filippina parlare di Cascia, di Roccaporena, della vita di Rita, anche se nessuno c’è mai stato. Alla Santa sono dedicate parrocchie, strade, quartieri, aziende, ospedali; molte donne portano il nome di Rita; sul muro di cinta di molte abitazioni è stata posta, accanto all’immagine di Gesù e della Madonna, quella di santa Rita. Viene da chiedersi se al mondo ci sia un altro Paese così devoto della Santa casciana. Nemmeno l’Italia che le ha dato i natali e dedicato anch’essa chiese, quartieri e ospedali, ha un trasporto simile a quello del popolo filippino. Di tutto questo si è potuta rendere conto la delegazione casciana che si è recata a Guiguinto, nella provincia di Bulucan al nord delle Filippine, dal 17 al 25 aprile, per il gemellaggio di fede nel nome della Santa. C’era la rappresentanza del Comune di Cascia: il sindaco Gino Emili (accompagnato dalla consorte), l’assessore alla Cultura e al turismo Marco Altieri e il consigliere comunale Angelo Gentili; e della diocesi: l’arcivescovo mons. Riccardo Fontana, il rettore e il vice rettore della basilica di Cascia, padre Mario De Santis e fra’ Paolo Zecca, con il parroco di Santa Rita a Spoleto, padre Randy Tibayan. Nella settimana trascorsa a Guiguinto e Manila abbiamo potuto toccare con mano la grande fede dei filippini, il loro immenso bagaglio storico, il loro sorriso di speranza, la loro voglia di futuro cantata nelle strofe popolari e attuata nelle danze, nei vestiti e nelle interpretazioni teatrali della tradizione dell’arcipelago. Eppure stiamo parlando di una popolazione che non vive nel benessere, anzi in molte zone la povertà la fa da padrona. I suoi numeri sono immensi: l’86% della gente è cattolica; 14 milioni le persone che vivono intramuros, cioè entro le mura vecchie della capitale; 38 milioni quelle che popolano l’intera Manila; 7 mila isole; migliaia di qualità di fiori e immense vegetazioni colorano i campi, le strade, le case e ogni angolo del Paese. La maggior parte delle famiglie, soprattutto al nord e al sud della capitale, vive di un’economia di sussistenza: pesca, piccoli appezzamenti di terreno a mezzadria, qualche animale. Queste persone dallo Stato sono considerate occupate, tant’è che il Governo ha dichiarato che solo l’8% della popolazione è disoccupata. Le case non sono delle regge, ma tutti hanno un tetto in bandoni per ripararsi dal caldo, torrido ogni giorno dell’anno, e dalle piogge, numerose specialmente nella stagione umida. Dalla propria abitazione, comunque, la gente esce sempre cambiata e profumata. Certo, non sono ricchi, ma almeno hanno una degna qualità della vita. Questa peggiora quando i filippini, invogliati dalla televisione, decidono di fare la valigia e tentare la fortuna a Manila. Lì perdono la loro identità, si mescolano alla grande massa, sono costretti a vivere sotto i ponti delle strade, non hanno occupazione alcuna. Girando nella strade della capitale ti rendi subito conto del grande contrasto tra povertà e ricchezza: nelle vie principali palazzi, grattaceli, centri commerciali e ville protette da telecamere e uomini armati; nelle vie parallele, a cinquanta metri di distanza, baracche fatiscenti, gente che si lava con l’acqua piovana che inonda le strade, uomini e bambini che dormono nudi all’ombra di un banano o di un cocco, donne che tentano di guadagnare due pesos vendendo manghi, ananas e cocomeri. Poi, ci sono nel sud del Paese i fondamentalisti islamici, quelli per intenderci che hanno rapito i tre volontari della Croce rossa e che hanno ancora in ostaggio un cittadino italiano. Quella piccola minoranza, 4%, è riuscita a far passare nell’opinione pubblica mondiale che tutto il popolo filippino sia violento, che tutti siano terroristi. Non è così. La gente dai molti idiomi, primo tra tutti il tagallo, è accogliente, ha grande dignità e ripone nella fede la certezza per un futuro migliore. Povertà, dunque, non è sinonimo di violenza e terrorismo. Santa Rita, che nelle Filippine è invocata anche come protettrice dai terremoti e dalla calamità naturali, intercederà per i milioni di abitanti delle isole che in lei ripongono tanta fiducia e che sono chiamati a difendere i valori del cattolicesimo in un’area del mondo – Indonesia, Corea, Cina – delicata.

AUTORE: Francesco Carlini