“La carità può essere riconosciuta come espressione autentica di umanità e come elemento di fondamentale importanza nelle relazioni umane anche di natura pubblica” (Caritas in veritate, 3). Scrivere, oggi, in generale e in particolare sull’etica sociale dell’amore, sembra essere diventato arduo, a causa di una concezione razionalista e tecnicista della realtà sociale, che ha rilegato l’amore nelle sfere private del sentimentalismo e del fideismo. Benedetto XVI ne è ben consapevole e per questo con coraggio profetico affronta il problema direttamente, senza indugio ed equivoco, ma nella genuinità della verità. Le domande, che la nostra società sottintende al problema e che l’enciclica sembra porsi, sono le seguenti: può la carità regolare la vita economica degli Stati? Può essa entrare nel diritto privato e civile? Ed ancora, la giustizia esclude la carità o vi è una reciprocità ineludibile alla quale non si può rinunciare? La risposta dell’enciclica Caritas in veritate, che si può individuare come tesi fondamentale, in quanto pensiero dominante, dal quale si delineano varie tesi particolare, si trova al n. 3 dell’introduzione, dove con fermezza si afferma che la “carità è elemento fondamentale nelle relazioni umane, anche di natura pubblica”, in quanto “espressione autentica di umanità”. È lecito chiedersi di quale carità il Papa sta parlando, vista la differenziata e variegata esperienza umana che dell’amore ogni individuo ha. Nelle prime frasi dell’enciclica si chiarisce subito che la carità è “una forza che ha la sua origine in Dio, Amore eterno e Verità assoluta” e che insieme alla verità costituisce il “vero volto della persona di Cristo”. Una verità, che per il Papa non è solo religiosa, ma metafisica ed etica: “Dio è carità” (1Gv 4,8.16); questo riguarda l’uomo non solo nella sua sfera religiosa, ma nell’interezza della sua dimensione antropologica, sociale ed etica. Per trovare i fondamenti teologici alla Caritas in veritate bisogna ricorrere alla prima enciclica di Benedetto XVI Deus caritas est, che rappresenta il contenuto teologico di questa enciclica sociale. Le due encicliche sono strettamente collegate da una metodologia ben precisa: dapprima una riflessione teorica sui principi, le linee guida, gli orientamenti di etica teologica fondamentale (Deus caritas est), successivamente la loro applicazione pratica nei problemi odierni della società (Caritas in veritate), cioè teologia morale sociale. Una metodologia che rischia, oggi, di essere dimenticata in ambito etico e non solo, poiché la soluzione dei problemi sociali, così urgenti oggi, sembra venir prima dell’individuazione dei principi e dei valori da cui ricavare tale soluzione. Il rischio è che il problema, o meglio la sua soluzione contingente e temporale, sia assunta a principio morale normativo. Tale rischio si può evitare soltanto se si ha il coraggio di far precedere una riflessione sui contenuti, sui principi e sui valori, alla risoluzione esperienziale del problema. La preoccupazione pastoraleIl carattere sociale di un’enciclica si evidenzia nella capacità che essa ha di cogliere l’andamento della società, le sue preoccupazioni, le problematiche attuali, che inquietano, investono l’uomo, la sua famiglia, i suoi beni. Non vi è dubbio che l’attuale crisi economica mondiale abbia influenzato la stesura di questo documento, a tal punto che il capitolo II Lo sviluppo nel nostro tempo ne è un’attenta analisi e ricostruzione delle sue cause, con chiare proposte di soluzione: “È importante inoltre evidenziare come la via solidaristica allo sviluppo dei Paesi poveri possa costituire un progetto di soluzione della crisi globale in atto” (CV, 65). I contenuti eticiIl tema dello sviluppo dei popoli, mutuato da Paolo VI, viene assunto attraverso la categoria principale della carità, come prerogativa fondamentale per la crescita integrale dell’umanità: “L’autentico sviluppo dell’uomo riguarda unitariamente l’unità della persona in ogni sua dimensione” (CV, 11). Questa verità costituisce la missione principale della Chiesa nel mondo: pur non ingerendo sui poteri politici ed economici con soluzioni pragmatiche, essa ha la peculiare missione di promuovere lo sviluppo integrale dell’uomo; questo lo rende visibile con “tutto il suo essere e il suo agire, quando annuncia, celebra e opera nella carità. Essa ha un ruolo pubblico che non si esaurisce nelle sue attività di assistenza o educazione, ma rivela tutte le proprie energie a servizio della promozione dell’uomo e della fraternità universale quando può valersi di un regime di libertà” (CV, 11). Tale sviluppo integrale dell’uomo, che rappresenta una sua naturale vocazione, può realizzarsi pienamente solo nella verità, che trascende lo stesso sviluppo naturale e trova il suo compimento nella vocazione dell’uomo alla comunione con Dio: “Il Vangelo è elemento fondamentale dello sviluppo, perché in esso Cristo, rivelando il Mistero del Padre e del suo amore, svela anche l’uomo all’uomo” (CV 18). Lo sviluppo nella verità ultima, alla quale l’uomo non può distogliere lo sguardo, deve essere anche caratterizzato dalla carità, elemento fondamentale capace di creare quella fraternità tra gli uomini indispensabile per un vero progresso dell’umanità: “La ragione, da sola, è in grado di cogliere l’uguaglianza tra gli uomini e di stabilire una convivenza civica tra loro, ma non riesce a fondare la fraternità” (CV 19). Proponendo lo sviluppo integrale della persona nella verità, Benedetto XVI individua nel “principio di gratuità come espressione di fraternità” un elemento fondamentale per rivalorizzare lo stesso mercato economico con la fiducia reciproca e la fedeltà, valori persi, sostituiti esclusivamente dal raggiungimento del profitto personale a tutti i costi, causa, anche questo, dell’attuale crisi. Lo sviluppo integrale della persona nella carità e nella verità può avvenire solo se è sviluppo di tutti gli uomini, per questo “accanto al bene individuale, c’è un bene legato al vivere sociale delle persone: il bene comune” (CV 6). È responsabilità del cristiano amare il prossimo, ma questo avviene pienamente soltanto promuovendo il bene comune con attenzione a quelle istituzioni che promuovono la polis. Nella promozione del bene comune entra in gioco un altro fattore fondamentale della dottrina sociale della Chiesa: la giustizia. Il Papa la presenta come elemento indispensabile di ogni sviluppo vero e civile, ma la propone in stretto rapporto di reciprocità con la carità: “la giustizia è la prima via della carità” (CV 6). Spesso si è portati a pensare che amare il prossimo vada oltre una semplice forma di giustizia distributiva; questo è vero, ma non si deve dimenticare che la prima forma di carità che possiamo concedere al prossimo è il riconoscimento dei suoi legittimi diritti, che non sono una concessione caritatevole ma un’opera di giustizia. La novità della proposta di Benedetto XVIRecentemente in un’intervista al settimanale Famiglia cristiana, il noto economista Stefano Magni, che ha partecipato alla stesura dell’enciclica, afferma che questo documento rappresenta “una vera rivoluzione nella continuità destinata a cambiare il mondo”. Per quanto riguarda la continuità con la dottrina sociale della Chiesa, essa è presente non solo con la solida base della Populorum progressio e del pensiero di Paolo VI, ma implicitamente si nota in quella duplice fedeltà tipica di tutte le encicliche sociali: fedeltà all’uomo e a Dio, promozione dell’umanità, resa possibile nella totalità solo nel suo compimento nel divino: “L’umanesimo che esclude Dio è disumano” (CV 78). Tale continuità con la tradizione della Chiesa non deve sconvolgere qualche progressista in cerca di novità, ma essa rappresenta la fedeltà alla Parola immutabile di Gesù Cristo, custodita nella tradizione della Chiesa, garanzia della presenza provvidenziale di Dio nella storia: “ieri, oggi e sempre”. Per quanto riguarda le novità, dal punto di vista della teologia morale, se ne possono individuare almeno tre. Il connubio caritas in veritate, complementare e non sostitutivo del veritas in caritate di san Paolo (Ef 4,15), sottolinea non solo che la verità va ricercata ed espressa nella carità, ma che la carità può essere compresa e vissuta pienamente solo nella verità (Cf CV 2); un’interpretazione del principio di sussidiarietà (Cf CV, 57), più articolata, che tenga conto della solidarietà tra gli organismi più forti con quelli più deboli, ma con particolare attenzione al coinvolgimento delle strutture economiche locali, a partire dal basso per una migliore ed efficace distribuzione delle risorse; infine è la prima enciclica ad offrire un ampio spazio alla problematica ecologica (CV 48-52), intesa non solo come salvaguardia del creato, responsabilità del credente, ma anche come sostenibilità dell’ambiente con uno sviluppo che tenga conto di fonte alternative di energia; tale responsabilità è rivolta a tutti.