Le tensioni e gli scontri tra polizia e palestinesi che stanno segnando in questi giorni la città santa di Gerusalemme sono l’espressione di “una rabbia che cova da molto più tempo, nata con la costruzione del muro di separazione, dalla fine del 2006, che ha bloccato di fatto la Gerusalemme palestinese, provocando la separazione dei suoi abitanti da quelli della Cisgiordania. Ne è conseguito un abbassamento delle condizioni di vita dei residenti palestinesi e la recrudescenza di proteste” anche violente. Ne è convinto il giornalista e scrittore israeliano Meron Rapoport, che punta l’indice contro quel fenomeno noto come “ebraicizzazione” della Città santa, cuore – non solo simbolico – dello scontro più ampio tra Israele e Palestina, che qui si combatte anche sul versante dello spazio urbano, con espropriazioni di terre e demolizioni di case palestinesi, e un rinascente fondamentalismo religioso legato all’estrema destra israeliana.
Costruire il terzo Tempio. Va letto anche in questo senso l’agguato a colpi d’arma da fuoco, il 29 ottobre, contro il rabbino Yehuda Glick, attivista dell’ultra-destra, noto per aver condotto in un raid sulla Spianata delle moschee, luogo sacro per i musulmani, coloni e attivisti ebrei, visti come provocazioni dai palestinesi. Glick aveva da poco partecipato con altri oratori – inclusi deputati della destra nazionalista ed esponenti del governo Netanyahu – a un dibattito sulle rivendicazioni ebraiche riguardo al Monte del tempio, o Spianata delle moschee. Da quando nel 1967 Israele ha occupato Gerusalemme Est, spiega lo scrittore, “ci sono sempre stati gruppi di ebrei nazionalisti che aspirano a rimuovere la moschea di Al Aqsa e la Cupola della roccia per edificare il terzo Tempio, dopo quello di Salomone e Erode, per tornarvi a pregare”.
Le case come avamposti. “I movimenti favorevoli alla costruzione del terzo Tempio sulla Spianata delle moschee – afferma ancora Rapoport – hanno guadagnato terreno soprattutto tra i religiosi ortodossi, nel mondo politico e in alcune fasce dell’opinione pubblica; i veti dei rabbini sembrano caduti nel silenzio. Questa è la vera novità. Sono sempre più frequenti le passeggiate di ebrei nazionalisti nei pressi delle due moschee, protetti da ingenti forze di polizia. Quest’ultima concede sempre più frequentemente il permesso per accedere al Monte del tempio agli ebrei che vogliono andarci; contestualmente sono diminuiti quelli concessi a musulmani. Durante l’ultimo Ramadan, i musulmani di meno di 50 anni non hanno potuto salire alla Spianata per pregare per cinque venerdì di seguito. Durante le ultime festività ebraiche, Rosh Hashanà (Nuovo anno) e Sukkot (Tabernacoli), finita circa due settimane fa, scontri con giovani palestinesi si sono registrati ogni giorno. Ci sono stati fitti lanci di pietre verso i visitatori ebrei”. Una situazione resa ancora più tesa dal tentativo di alcuni coloni ebrei di penetrare in appartamenti palestinesi nel quartiere di Silwan che dista poche centinaia di metri dalla moschea di Al Aqsa e quindi dalla Spianata. “Lo scopo dei coloni – dice lo scrittore – era chiaro: prendere possesso delle case e ampliare così i loro possedimenti nel quartiere arabo per farlo diventare avamposto ebraico”. Ma c’è anche chi, attraverso dei mediatori, la casa la acquista direttamente dai palestinesi, alimentando anche così l’ebraicizzazione di Gerusalemme Est. “Non sono molte le case vendute, forse una cinquantina in circa 20 anni”, tuttavia il valore della presenza ebraica in quartieri palestinesi ha il suo significato simbolico e peso politico. Il grosso del fenomeno, infatti, “si sviluppa attraverso l’occupazione di terre, permessi edilizi negati ai palestinesi dalla municipalità di Gerusalemme e concessi invece agli ebrei. Non c’è spazio per quartieri palestinesi, ma ce n’è per gli insediamenti ebraici”.
Rischio grave. Se questi tentativi di cambiare lo statu quo di Gerusalemme (stabilito in un atto che risale alla seconda metà dell’Ottocento) dovessero proseguire “la Città santa rischierebbe di esplodere e sarebbe una vera catastrofe” afferma Rapoport. Lo hanno ribadito, dal versante religioso, anche i capi delle Chiese cristiane di Gerusalemme che in una dichiarazione del 6 novembre hanno con forza condannato “le minacce di modifica dello statuto dei Luoghi santi, quali che siano le loro provenienze”.