Pubblichiamo in versione quasi integrale il discorso tenuto dal card. Tauran al convegno nazionale dei presidenti di Azione cattolica, a Trevi, il 24 settembre. Prima di tutto, che cos’è la pace? Il testo fondamentale su quest’argomento lo troviamo nella Gaudium et spes, ai numeri 77-89. “La pace – vi leggiamo – non è semplice assenza di guerra… non è effetto di una dominazione dispotica, ma è opera della giustizia (Is 32,7). È il frutto dell’ordine impresso nella società umana dal suo divino fondatore, e dev’essere attuato dagli uomini che aspirano ad una giustizia sempre più perfetta… La pace non è mai qualcosa di raggiunto una volta per tutte, ma è un edificio da costruirsi continuamente”. (…) Quindi tutti i cristiani sono chiamati a essere artefici di pace a immagine di Gesù, che per mezzo della sua croce ha riconciliato tutti gli uomini con Dio, che nella sua carne ha ucciso l’odio, e nella gloria della sua risurrezione ha diffuso lo Spirito di amore nel cuore degli uomini. Le religioni hanno, ovviamente, un ruolo particolare nella misura in cui tutte, o quasi tutte, predicano la fraternità. Tutte le religioni sono a favore della giustizia perché essa è un valore divino, poiché Dio è giusto, richiede la giustizia e chi vuoI vivere secondo la volontà di Dio deve praticare la giustizia. È questa la regola d’oro presente sotto svariate forme in quasi tutte le religioni. Questa regola d’oro l’ha insegnata anche Gesù: in ogni cosa, fate agli altri ciò che vorreste che essi facessero per voi (Mt 7,12). Ma troviamo la stessa cosa nell’ebraismo: ciò che voi temete per voi stessi, non fatelo al vostro vicino. E anche nel Corano: nessuno di voi sarà un vero credente se non desidera per gli altri ciò che desidera per se stesso. Noi cristiani abbiamo una particolare responsabilità perché dobbiamo essere testimoni di Cristo, “principe della pace”, che con la sua incarnazione si è unito ad ogni uomo. Per di più, noi cristiani sappiamo che la pace è un dono di Dio e quindi dobbiamo pregare – e lo facciamo, in particolare, ogni 1° gennaio in occasione della Giornata mondiale di preghiera per la pace nel mondo, come lo faremo il mese prossimo ad Assisi, unendo alla preghiera il digiuno, come avvenne già nel 2002. E poi non si può trascurare l’educazione alla pace, che comporta l’educazione alla gratuità, alla compassione, e all’armonia. Nel mondo pluri-culturale e pluri-religioso nel quale viviamo, le nostre identità non possono basarsi su delle contrapposizioni, ma sull’apertura e sulla conoscenza dell’identità degli altri. All’odio dobbiamo rispondere con la compassione. Gli educatori e i predicatori devono aiutare giovani e adulti a costruire ponti, e non a erigere muri. Nel mondo precario e violento che ci siamo costruiti, che cosa dobbiamo dire, o piuttosto, fare? Prima di tutto, osar dire che le ingiustizie, le malattie, le guerre non sono una fatalità. Sono la conseguenza di tutti i nostri egoismi personali e collettivi, della nostra ignoranza, dei nostri errori non riconosciuti, della nostra incapacità di trarre insegnamento dalle esperienze – positive e negative – del passato. Ma noi credenti diciamo una seconda cosa a tutti i nostri contemporanei: diciamo che non crediamo alla fatalità della storia, non crediamo che l’uomo si fondamentalmente cattivo. Confidiamo nell’uomo perché sappiamo che Dio gli ha dato un’intelligenza e un cuore e col suo aiuto può, anzi dev’essere protagonista di un mondo migliore. Quindi la Chiesa ricorda a tutti noi che: 1. L’umanità è una famiglia in cui tutti sono amati allo stesso modo da Dio; abbiamo una comune origine (siamo creature) e abbiamo una comune finalità (l’incontro con Dio). 2. Mettiamo a disposizione di tutti una nostra esperienza. Cioè siamo abituati nelle nostre assemblee liturgiche o nelle nostre attività apostoliche a vivere le diversità nell’unità. Questo savoir faire può essere di aiuto per superare pregiudizi e rancori nel campo economico culturale e sociale, e scoprire la parte migliore dell’altro.3. La solidarietà: diciamo che non c’è pace senza giustizia. Un credente non può essere indifferente di fronte all’uomo che soffre o è vittima di uno che è più forte di lui. Si parla del “diritto d’ingerenza umanitaria”, cioè non abbiamo diritto all’indifferenza. Analogamente, c’è anche il dovere della salvaguardia delle risorse naturali per l’oggi e per le generazioni future. 4. L’educazione alla pace comincia nella famiglia e nella scuola (…). Questa educazione alla pace è la migliore strategia per assicurare la tranquillità e l’armonia del domani. (…)Vedete perché la pace è via alla santità nel quotidiano? Perché ci spinge ad essere cristiani coerenti nella vita di ogni giorno, ed è questa la santità. Allora, io vorrei che ci domandassimo: quando è che non costruiamo la pace? È un esercizio molto concreto. Non la costruisco: 1. Quando non apprezzo le qualità del mio fratello, della mia sorella, quando chiedo da loro l’impossibile, quando le difficoltà degli altri mi lasciano indifferente. 2. Non la costruisco quando lavoro per due, con la ragione di voler comprare il superfluo, mentre chi è accanto a me non ha né lavoro né futuro. 3. Non la costruisco quando chiudo la porta del mio cuore, quando chiudo le mie mani, la mia bocca per non avere noie. 4. Non costruisco la pace quando rispondo “non ho tempo”. 5. Non costruisco la pace quando mi piace farmi vedere in compagnia delle persone che hanno il potere, la ricchezza, la cultura e trascuro chi è piccolo e dimenticato, e il cui nome non comparirà mai sull’agenda di persone importanti. 6. Non costruisco la pace quando non aiuto chi ha peccato, quando non perdono.Ma allora mi direte: quando costruisco la pace? E vi rispondo: 1) quando invece del rancore, offro il perdono; 2) quando invece della morte offro la vita; 3) quando, invece del mio io, offro Dio. (…)Vorrei ora indicare alcuni atteggiamenti che nessuno dovrebbe avere difficoltà ad adottare: – il bambino sia accolto e rispettato appena si sveglia alla vita dal seno materno; – i giovani trovino sul loro cammino educatori che vogliano loro bene, fino al punto di proporre loro la via verso la libertà attraverso l’impegno, il dono di sé, il servizio; – l’amore dell’uomo e della donna ritrovi la sua nobiltà e la sua verità attraverso l’oblio di sé per la felicità dell’altro nella fedeltà alla parola data; – il malato non sia lasciato solo di fronte all’enigma della sofferenza; – le persone anziane non siano relegate e dimenticate, ma poste in condizione di condividere con i giovani la propria esperienza e il proprio bisogno di amare; – il lavoratore sia rispettato nella sua dignità e responsabilità; – non ci sia spazio per il razzismo; – nelle relazioni sociali la violenza e l’aggressività delle parole e dei comportamenti lascino il passo alla benevolenza e alla disponibilità; -nel dibattito sociale o politico ogni partner sappia riconoscere la parte di verità che si trova nel cuore del suo interlocutore. (…)Vogliamo davvero la pace? Vogliamo essere santi? Se rispondiamo in modo affermativo, allora dobbiamo necessariamente cambiare qualcosa nella nostra vita: compiere gesti di attenzione e riconciliazione, di solidarietà nelle nostre famiglie, nella comunità cristiana, nelle associazioni di cui facciamo parte. Spesso l’aggressività e la violenza di certe persone non sono altro che un grido: il grido di chi non è riconosciuto e si sente inutile. Impariamo una cosa molto semplice: impariamo a guardare con bontà chi ci sta intorno, ad ascoltare più che a parlare, a far crescere più che a correggere. [C’è una pergamenta] che ho sempre conservato, in cui è decorata la seguente affermazione: È con la bontà che si crea attorno a sé la felicità.
La ricetta cristiana per costruire la pace
L’intervento del card. Jean-Louis Tauran a Trevi, in occasione del Convegno dei presidenti e assistenti diocesani dell’Azione cattolica
AUTORE:
Card. Jean-Louis Tauran