La Regola di San Benedetto è valida per abati e sindaci

Le recenti elezioni amministrative avvenute in diversi Comuni umbri sono state occasione per ritornare a riflettere sull’identità e sul ruolo delle istituzioni civili, e soprattutto di coloro che hanno un incarico di responsabilità. Per questo vogliamo provare a contribuire alla riflessione seguendo l’incoraggiamento dato dalla recente festa di san Benedetto, patrono d’Europa (11 luglio).

La Regola di san Benedetto è un sistema di valori

Cosa c’entra però Benedetto con primi cittadini, Giunte e consigli? La risposta si trova nella Regola, scritta o dettata da san Benedetto verso la metà del primo millennio. Che certo non parla alle e delle istituzioni civili, ma che tuttavia ha consegnato alla Storia, in particolare europea, un sistema di valori applicati lungo il corso dei secoli e ancora applicabili dalla società civile.

Pertanto, benché la Regola benedettina sia stata indirizzata a uomini e donne la cui identità è: “rinunciando alla tua volontà, ti prepari a servire il vero re, Cristo Signore, cingendo le fortissime e gloriose armi dell’obbedienza” (Prologo, 3), ciò non vieta comunque l’intento di poterle dare una lettura più ampia, varcando i confini della vita monastica, così da offrire solo alcune delle molte suggestioni rintracciabili nella Regola per una buona leadership.

Le indicazioni per l’abate utili anche per un leader politico

In particolare infatti per ciò che riguarda la figura dell’abate, le parole di Benedetto possono essere considerate un breve trattato sull’identità e le qualità di un leader. Anzitutto il responsabile di una comunità (nel caso della Regola, l’abate) deve essere eletto dalla comunità che dovrà guidare, servendo piuttosto che comandando, in base ai meriti e alla sapienza (cfr. Regola 63, 1-3.8). Queste qualità potrebbero essere tradotte, in una lettura più ampia, con il ‘sapere, saper fare, saper essere’ del leader che contribuisce ad amministrare la cosa pubblica. Pensiamo ad esempio a un sindaco che intrecci conoscenze, competenze e abilità, senza dunque improvvisare, ordinate all’incremento della comunità (cfr. 2, 32).

Non fare distinzioni tra persone

Reso possibile, quest’ultimo, anche dalla capacità di chi detiene l’autorità di non fare distinzioni tra persone, di non prediligere uno più di un altro, di riservare un unico trattamento (cfr. 2, 16.22), “adattandosi ai diversi temperamenti, che richiedono alcuni dolcezza, altri il rimprovero, altri ancora la persuasione; sappia adattarsi e conformarsi a tutti, secondo l’indole e l’intelligenza di ciascuno” (2, 31-32).

L’aderenza alla legge

A queste prime qualità si aggiunge ciò che nella Regola è agli inizi del capitolo secondo, ossia l’aderenza alla legge: l’abate “non insegni, stabilisca o comandi nulla che è estraneo alla legge del Signore”. Sempre in una lettura più ampia, si può affermare che chi detiene la responsabilità di una comunità civile non può discostarsi dalla legge, ma è chiamato a custodirla e applicarla, operando in conformità a essa. Questo anche per dare testimonianza, attraverso la propria condotta – come dice Benedetto: “più con i fatti che con le parole” – di onesta e legalità.

Leadership condivisa con la comunità

La Regola, infine, mostra una leadership condivisa anzitutto con la comunità stessa. Seppure l’abate abbia la responsabilità di prendere in prima persona decisioni riguardo alla vita della comunità, è però chiamato a convocarla e ad ascoltarne il parere su questioni importanti da trattare (cfr. 3, 1). Solo dopo aver ascoltato può decidere, con prudenza ed equità (cfr. 3, 2.6). Una buona leadership pertanto non può prescindere dai diversi sentimenti e dalle diverse sfumature che la comunità manifesta; ma solo a partire dall’ascolto, passando poi per il discernimento e per la sintesi, possono essere prese le giuste decisioni per il bene della comunità stessa.

… e con figure che detengono altre responsabilità

La Regola, poi, indica una leadership condivisa anche con altre figure che detengono una specifica responsabilità, come il priore (cfr. 65), i decani (cfr. 21), o il cellerario (cfr. 31), e le cui qualità sono paragonabili a quelle dell’abate. Pertanto, anche coloro che affiancano il leader nel governo della comunità, ad esempio assessori o consiglieri, non possono essere improvvisati ma devono mostrare pure loro le conoscenze, le competenze, le abilità specifiche per il compito che vanno ad assumere.

Dopo oltre 1.500 anni dalla sua stesura, dunque, la Regola di Benedetto continua a parlare non solo al mondo monastico ma anche alla società civile e alla politica che la governa.

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