Qualche anno fa andava di moda parlare della qualità della vita. Oggi se ne parla meno o per niente. Di fronte a tante tragedie è la difesa della vita come tale, in se stessa, che è preminente, essendo messa in gioco a causa della violenza, degli incidenti, dei suicidi, degli aborti. Si parla, in maniera macabra, della nostra come della cultura della morte. Anche la richiesta della qualità della vita è stata spesso utilizzata per giustificare e invocare la morte procurata chiamata eutanasia o morte assistita. Insomma la qualità della vita per negare la vita, quasi che si possa rifiutare come un qualsiasi prodotto cui mancano requisiti ritenuti necessari. E tuttavia la ricerca di una accettabile qualità dell’esistenza e lo sforzo per migliorarla, persino la ricerca di una possibile felicità, rimane fondata e giustificabile e dovrebbe costituire uno sforzo congiunto con un occhio, anzi con due occhi ben aperti, rivolti all’intera comunità. Non si può essere felici da soli, o in una situazione di guerra, di fame, di disordine. Che vita e che qualità di vita può avere un bambino palestinese o israeliano tenuto chiuso sotto una cappa di terrore? La qualità della vita così va a coincidere con la ricerca del bene comune, della pace, della sicurezza, dell’ordine sociale. Queste riflessioni le ho sentite ripetere, con una certa positiva sorpresa, in una sagra paesana di un piccolo centro della collina umbra, dove, tra le varie manifestazioni gastronomiche e musicali, è stata inserita anche una serata dedicata, appunto, alla discussione sulla qualità della vita, con la partecipazione di personaggi esperti in varie discipline. In un incontro all’aria aperta, in un ambiente pieno di verde, sono stati presentati e discussi temi e problemi di carattere igienico sanitario, relativi alla tutela dell’ ambiente naturale, ed anche relativi agli aspetti psicologici, morali e spirituali. Una serata intensa e interessante nella quale ognuno ha potuto verificare quali aspetti del proprio stile di vita poteva essere migliorato. Non si è fatta dell’utopia e non sono state distribuite ricette magiche, ma guardando in faccia la realtà nella sua concretezza (tra la gente c’era una persona sulla sedia a rotelle) si è data molta importanza alla dimensione interiore e comunitaria. Il medico del luogo ha raccontato una storia che lo ha segnato per la vita. Era giovane studente in una grande città e di notte ha sentito un’ambulanza che si era fermata nel palazzo di fronte alla sua camera. Ha visto partire l’ambulanza e una donna era rimasta da sola a piangere seduta su un gradino di casa. Due ore dopo, si era alzato ed aveva guardato fuori della finestra. Quella donna stava ancora lì da sola. Il medico ha concluso: qui da noi questo non sarebbe mai successo. Durante questo periodo di vacanza molti pensano, giustamente che con il riposo, un cambiamento di ritmo della giornata, anche un cambiamento di luogo e di ambiente può favorire lo star bene, il sentirsi riposati, rilassati. E’ pur vero che non c’è luogo o ambiente in cui non si portino dietro i propri sentimenti. E se si ha un tarlo che rode, questo rimane fonte di sofferenza finché non si è eliminato. La vacanza vera, pertanto, dovrebbe servire anche per fare una revisione più profonda negli spazi della propria mente per mettervi ordine e serenità. Molti l’hanno compreso e per questo si ricercano luoghi di spiritualità, si fanno pellegrinaggi e ritiri. Servono per migliorare la qualità della vita. Anche noi de La Voce andremo in vacanza per due settimane. Speriamo che serva a noi e anche ai lettori per stare tutti meglio e riprendere poi a dialogare insieme con maggiore freschezza e vivacità. Buone vacanze!
La qualità della vita
AUTORE:
Elio Bromuri