In uno sguardo complessivo, nei giorni passati, il colore rosso cardinalizio, dolce e vicace insieme, ha dato un messaggio gioioso di vita e di speranza che ha appagato la curiosità e il desiderio di bellezza delle folle radunate a Roma attorno a Papa Francesco e ai cardinali nuovi e vecchi, e anche da noi a Perugia, come è raccontato nel reportage (clicca qui per accedere ai contenuti).
Molti sono spontaneamente indotti a pensare e a dire “quant’è bella la nostra Chiesa”. Lo spettacolo della Chiesa vivente supera la bellezza statica delle sue basiliche e delle pur stupende opere d’arte che nei secoli i cristiani hanno creato. Anche dei cardinali si dice che sono “creati”, una parola forte che allude alla totale gratuità dell’elezione da parte del Papa: nessuno, infatti, ha diritto di diventare cardinale, neppure i vescovi che risiedono nelle sedi dette cardinalizie che sono tali solo per consuetudine, così come per consuetudine sono “creati” cardinali i collaboratori diretti del Papa nelle Congregazioni vaticane. Insomma, lo spettacolo della Chiesa che celebra i suoi riti provoca profonde emozioni e spinge a sentimenti di fede nella bellezza e bontà di Dio.
In una memoria raccontata nella lettera a un amico, Dietrich Bonhoeffer, pastore e teologo evangelico, confessa che trovandosi a Roma e assistendo a una liturgia in San Pietro, ne subì un tale fascino da fargli balenare l’idea di poter diventare cattolico. Mi viene da domandare, a questo punto, che cosa passa – se passa – nella mente di quelle autorità pubbliche, che si dichiarano atee, costrette per motivi di rappresentanza ad assistere alle funzioni religiose, senza un minimo cenno di partecipazione o coinvolgimento. Non ho risposta e forse non c’è, dipenderà dalla sensibilità e educazione delle singole persone. Ma altra domanda che sempre a questo punto viene da porsi è se e come le persone che condividono, emotivamente e per fede, la sostanza e la forma dei riti che si celebrano, ne traggano conseguenze esistenziali e pratiche.
La Chiesa che si esalta ed esalta il suo Signore nella glorificazione liturgica è la stessa che poi addita mete concrete, modi di comportamento e stili di vita. L’assemblea convocata per ascoltare la Parola di Dio e partecipare nella gioia al Mistero di gloria celebrato tra i canti nello splendore dei segni esteriori è esplicitamente invitata, una volta uscita dal tempio, ad incontrare le realtà di un mondo distratto, disgregato, disagiato, ferito, mortificato.
La Chiesa della gloria è la stessa della misericordia; il Vescovo porporato che svolge il solenne rito è lo stesso che si reca in carcere, abbraccia i detenuti, ascolta le loro richieste e le loro lamentele, e poi si reca a visitare gli ammalati e dare conforto alle famiglie che hanno bimbi nel reparto oncologico, consola la madre, il padre e i fratellini che hanno sofferto la perdita di un adolescente che si è impiccato nel giardino di casa.
La Chiesa è ancora più bella e più vera per questo suo andare verso le periferie esistenziali e geografiche, e non teme di lasciarsi toccare le dorate vesti liturgiche e i mantelli di seta color porpora dai disperati di questo mondo.