Ogni equivoco e ogni esitazione sono stati eliminati nei due grandi avvenimenti del fine settimana scorsa, in cui la nostra attenzione si è appuntata sulle elezioni europee e sul pellegrinaggio di Papa Francesco nella terra santa di Gesù, degli ebrei e dei musulmani. Le esitazioni, le incertezze, i dubbi dei giorni precedenti sono di colpo scomparsi in forza della bella e sorprendente affermazione di Matteo Renzi e del successo del Papa Bergoglio nel suo pellegrinaggio.
Sappiamo tutto nei particolari, non è necessario ripetere le vicende nei dettagli. Mi risuona però alla mente la frase del Patriarca Bartolomeo quando, nel suo discorso, ha detto: “La storia non può essere programmata, l’ultima parola non appartiene all’uomo ma a Dio. Le guardie del potere secolare hanno sorvegliato invano questa tomba … Qualsiasi sforzo dell’umanità contemporanea di modellare il suo futuro autonomamente e senza Dio è una vana presunzione”. I nemici di Gesù avevano programmato tutto: il sepolcro, le guardie, la difesa se fosse scomparso il cadavere. Tutto fu vano. Moltissime altre programmazioni, politiche, culturali e sociali, sono state fatte nella storia, e tutto è saltato.
Una di queste – ripetuta da secoli sotto forme diverse – è quella per cui la religione, le religioni, il cristianesimo in particolare, sarebbero scomparse con l’avvento di un nuovo modo di pensare, con la diffusione delle conoscenze scientifiche e tecniche, con l’avvento della società a dimensione razionale secondo i parametri della libertà, uguaglianza, fraternità.
Nei giorni 24-26 maggio abbiamo assistito alle varie fasi del pellegrinaggio di papa Francesco in Giordania, Israele e Palestina presi spesso anche da intima commozione nel vedere i gesti e nell’ascoltare le parole di Francesco, un Papa vero, un autentico discepolo di Gesù (gesuita), che esprime sincerità, autenticità, partecipazione e relazione con la vita concreta delle persone: un uomo religioso carico di umanità, riconosciuto protagonista, annunciatore di pace dall’intera umanità. Questo mi ha fatto ripensare ad un libro di tanti anni fa scritto da un gesuita francese, divenuto poi cardinale, che affrontava il tema della preghiera nella dimensione politica (Jean Daniélou, L’oraison, problème politique 1965).
Questo Papa, pregando e parlando di fede religiosa ha fatto politica senza entrare negli schieramenti, senza dare fastidio ai protocolli tra Stati, senza offendere nessuno, invitando a pregare insieme il Padre comune a cristiani, ebrei e musulmani, senza badare alle sfumature. Egli sa andare oltre recinti prestabiliti e sclerotizzati nel tempo, in uscita dal tempio, senza violare la abitazioni degli uomini e gli spazi della loro libertà e dignità, facendo leva sui sentimenti profondi che agitano la coscienza di ogni essere umano.
La preghiera è considerata da papa Francesco la maggiore alleata della pace, la via prescelta da Dio per donare la pace. Farà passi molto più spediti di tanti formali colloqui di pace che si sono realizzati in vari momenti della storia travagliata dai rapporti tra israeliani e palestinesi, quando si compirà l’annunciato incontro di preghiera in Vaticano tra Papa Francesco, Shimon Peres e Abu Mazen: il cristiano, l’ebreo e il musulmano. La storia dell’Europa è piena di eventi, buoni e cattivi, relativi a questa classica triade religiosa che ha dominato le vicende politiche.
Qualcuno ha pensato, anche di recente, di cancellare la fede religiosa per una società radicalmente secolarizzata, che consentirà ai popoli di vivere in pace. Il Papa risponde che non con la secolarizzazione ma con la conversione a Dio, l’unico Signore del mondo e della vita di ciascuna delle Sue creature. “Non lasciateci soli” ha detto Francesco all’udienza di mercoledì. Anche noi quindi pregheremo il Dio della pace.