L’Agenzia umbra ricerche (Aur) ha presentato, venerdì scorso a Perugia, la ricerca L’integrazione sociale in Umbria, una lettura sulla regione oggi e sul suo livello di confronto, di dialogo e di coesione. Gli studiosi hanno evidenziato luci ed ombre. Il professor Ugo Ascoli dell’Università politecnica delle Marche, una delle menti del prossimo Piano sociale umbro, ha spiegato che l’Umbria ‘tiene’ come società rispetto ad altre regioni grazie al valore aggiunto della rete familiare, al suo elevato tasso di istruzione e alla presenza di un buon sistema di welfare locale, che ne ha favorito lo sviluppo. Ma alcuni punti di debolezza preoccupano: gli anziani soli, gli immigrati che – se devono essere una risorsa – necessitano di politiche di integrazione più incisive, il forte e crescente disagio economico di molte famiglie, la disoccupazione e l’estremo precariato giovanile, i poveri (8 per cento delle famiglie) e quelli che rischiano di diventarlo (i ‘nuovi poveri’ sarebbero un altro 8 per cento) e differenze ormai troppo marcate fra un’Umbria che traina, una che va stancamente e un’ultima che è ferma. ‘L’integrazione sociale – ha spiegato il sociologo Paolo Montesperelli – resta abbastanza compatta per ragioni strutturali che, almeno dagli anni ’70-80 in poi, hanno avvicinato la nostra regione al modello di integrazione sociale tipica dell’area del Nec (quell’insieme complementare di risorse sociali, territoriali, culturali affermatosi nel centro e nel nord-est del Paese)’. In particolare, ha ricordato Montesperelli, ‘gli elementi a nostro vantaggio sono la non estesa urbanizzazione, la rete policentrica che determina un maggior senso civico, un più articolato controllo sociale, un’alta identificazione territoriale, pur con qualche rischio di localismo’. È poi un bene che le radici storiche dell’imprenditoria regionale, spesso di natura locale, siano di origine artigiana e contadina. Nel novero dei fattori di integrazione occorre considerare anche quelli che prevengono, o almeno limitano, i costi sociali derivanti sia dall’invecchiamento della popolazione, sia dall’elevata flessibilità del mercato del lavoro. ‘Meriti – ha specificato Montesperelli – vanno riconosciuti ai servizi alla persona e al welfare locale, la cui qualità si colloca su livelli medio-alti’. Ma un altro meccanismo di futura compensazione potrebbe risiedere nella recentissima crescita della società civile organizzata: l’associazionismo, il cosiddetto Terzo settore, e soprattutto il volontariato, che impegna circa il 10 per cento degli umbri. Paolo GiovannelliMontesperelli: l’abitudine del mutuo aiuto lega tra loro tre generazioniC’è poco da fare. Se l’Umbria sta ancora a galla, moltissimo lo deve alla famiglia. ‘La famiglia umbra – afferma il sociologo perugino Montesperelli – è un elemento fondamentale che, seppur in trasformazione, rappresenta un’istituzione vitale della nostra realtà sociale’. Nel frattempo, la mobilità sociale è ferma. E, se c’è, è di tipo ‘discendente’, al punto che i genitori umbri temono sempre più che i figli laureati trovino impiego solo come commesse, barman o, se ci sono soldi da investire, piccoli commercianti. Dottori retrocessi ‘a prescindere’, insomma. ‘Anche al di fuori delle mura domestiche – ha aggiunto Montesperelli – la nostra realtà è intessuta da reti di solidarietà informale che passano fra famiglie. Decisiva è la rete di scambi economici ed affettivi fra famiglia di origine e nuove famiglie, una mutua solidarietà che lega insieme almeno tre generazioni: nonni, figli e nipoti’. ‘In Umbria – ha fatto notare il coordinatore scientifico del prossimo Piano sociale regionale umbro, Ugo Ascoli – l’85 per cento delle giovani famiglie abita nello stesso Comune della propria famiglia d’origine. Ci sembra inoltre ugualmente significativo il fatto che il 50 per cento degli umbri dichiari di scambiare aiuti con i propri parenti. Un dato più alto della media nazionale’. Si va dal sostegno ai familiari più anziani, al baby-sitteraggio dei nonni, all’appoggio economico dei genitori pensionati alle generazioni di trentenni e quarantenni. Da cosa è minata la famiglia e, dunque, il grado di integrazione sociale in Umbria? I campanelli di allarme della società umbra sono il tasso di suicidio più elevato della media nazionale, le tossicodipendenze (droghe, alcol, ecc.) e la criminalità ad esse collegata. L’Umbria resta la regione in cui, rispetto al resto d’Italia, si registra il più alto numero di decessi direttamente correlati agli stupefacenti.
La nostra regione ‘tiene’ grazie alle reti familiari
Presentata la ricerca 'L'integrazione sociale in Umbria' realizzata a cura dell'Aur
AUTORE:
(Pa. Gio.)