Domenica 25 settembre era la festa della Dedicazione della nostra chiesa, la cattedrale di Gubbio; consacrata nel cuore del Medioevo, con il suo gotico equilibrato, che rifugge sia dal pianterello del larmoyant che dall’esaltazione del flamboyant. Da quel giorno essa, con quella limpida fuga di mani giunte che nel suo interno cercano l’altare, si candida ad innalzare verso il cielo la nostra umanità velleitaria; e con la mole possente del suo campanile tozzo e quadrato, dal punto più alto della città guarda con amorosa sufficienza il sottostante, grintoso palazzo dei Consoli. “Cattedrale”, la chiesa dove si trova la cattedra del Vescovo, maestro autentico della sua diocesi, in sintonia con il Vescovo di Roma. “Cattedrale” da “cattedra”. Nel presbiterio della cattedrale di Gubbio ce ne sono due: una in legno, addossata alla parete del transetto sinistro, e ovviamente rivestita di tessuti di pregio; e una dipinta, in navata, nell’ultimo altare a sinistra, con sant’Ubaldo in atteggiamento di maestro. Quest’ultima fu occasione per un penoso equivoco: un notissimo fotografo eugubino negli anni ’90 riprodusse quell’immagine in toni coloristici davvero pregevoli, ma con sotto la scritta: “Il trono di S. Ubaldo”. Il vescovo Bottaccioli ne fu offeso, rispolverò una tantum la sua mitica attitudine alla scenata toglipelo e gliele fece ristampare tutte, le immagini, stavolta con la scritta: “La cattedra di S. Ubaldo”. Decisione teologicamente e umanamente ineccepibile: sì, anche umanamente, perché ipotizzare una persona seria e intelligente come sant’Ubaldo “intronato” accanto a Carlo d’Inghilterra… beh! a noi eugubini ci tuferebbe. L’altra cattedra, quella in legno. Anni ’60. Il Movimento studenti eugubino finanzia ogni suo anno d’attività pubblicando due numeri all’anno de Il Bertoldo, la cui verve maldicente (un solo numero collezionò sei querele!) ne fa vendere un mucchio di copie, e con uno spettacolo al teatro delle elementari di via Perugina. Quest’anno c’è “Cristoforo Combo”. Prove generali. Manca qualcosa: il trono di Ferdinando d’Aragona. Non era certo il caso che il Re di Spagna accogliesse il grande Genovese, reduce dalla scoperta dell’America, seduto su uno strapuntino. Fu allora che mons. Ubaldi ci prestò il suo trono. E lo spettacolo fu un trionfo. Anche gesti del genere rientrano nel magistero di un vescovo, nel suo “farsi tutto a tutti” come Paolo. Anzi, a voler essere precisi, ogni parola che noi preti pronunciamo dall’altare, per “fare festa” davvero, dovrebbe essere la spiegazione di una scelta che l’ha preceduta. Altrimenti ci dicono che predichiamo la castità ai passeri. E i passeri la trasgrediscono. In maniera molto meno clamorosa di come lo fanno gli ippopotami, ma la trasgrediscono.
La nostra festa
AUTORE:
A cura di Angelo M. Fanucci