Nell’ambito delle problematiche “eticamente sensibili” sta emergendo una strategia manipolatoria del linguaggio, cioè un disegno teso a legittimare una nuova visione dell’essere umano; si tratta di una prospettiva che approda ad una vera e propria “idolatria della salute”: la salute individuale assurge così ad indiscusso “bene massimo”. Se la salute rappresenta il valore massimo, allora l’uomo sano è anche il vero uomo; e se qualcuno non è sano, e soprattutto, se non può ritornare sano, allora diventa una persona di seconda o terza categoria; l’inguaribile, il malato cronico, il portatore di handicap, l’anziano non più autosufficiente, vengono spinti nell’ombra; per loro c’è posto solo ai margini della società salutista. Viene poi diffusa l’opinione (generalmente in modo molto sottile) che lo stesso diretto interessato “certamente non vuole più vivere così” e che pertanto gli si deve riconoscere il “diritto ad una buona morte”, cioè la cosiddetta eutanasia caritatevole. In parole povere, la logica che in alcuni ambienti politici e medici sembra prevalere è la seguente: poiché la sofferenza non si può eliminare, eliminiamo il sofferente, così lui cessa di soffrire e noi risparmiamo tempo e preziose risorse economiche, da utilizzare più intelligentemente nella ricerca scientifica a vantaggio di tutta l’umanità. “Qualità della vita” Anche il concetto di qualità della vita, che occupa una posizione centrale nel dibattito bioetico contemporaneo, non è privo di margini di ambiguità, là dove tende ad assegnare un valore relativo alle singole persone, differenziandole tra di loro alla luce dei diversi livelli di “qualità”, assegnati sulla base di determinati parametri. Il punto nodale di tale orizzonte ideologico è quello dei criteri per determinare un grado di qualità della vita che possa essere considerato “accettabile” e quindi ritenuto “meritevole” di garantire alla persona il diritto alle cure ed alla tutela. È evidente che si tratta di tentativi “felpati” tesi a scardinare il principio etico della sacralità ed intangibilità della vita. Non sorprende quindi che oggi (nell’ambito del dibattito sull’uso delle cellule staminali embrionali) si sia giunti a manipolare il linguaggio tradendo l’espressione “etica del guarire” per giustificare l’uccisione di embrioni sia pure per uno scopo nobile, cioè la guarigione altrui. Cos’è “eutanasia” Giova ricordare che, qualunque ne siano i mezzi, l’eutanasia consiste nel cagionare la morte di persona sofferente o prossima alla fine. Essa è scelta moralmente inaccettabile perché si risolve comunque in un vero e proprio assassinio. È invece legittimo il rifiuto di procedure mediche onerose, pericolose, straordinarie o sproporzionate rispetto ai risultati attesi. In tali casi si ha semplicemente rinuncia all’accanimento terapeutico: non si vuole cioè cagionare la morte, ma si accetta umilmente di non poterla impedire. Insomma la differenza che corre tra il rifiuto dell’accanimento terapeutico e la scelta dell’eutanasia è la stessa che c’è tra essere costretti dalle cose a lasciare aperta una finestra che non si chiude più, e l’adoperarsi invece per buttarci di sotto una persona. “Procreazione responsabile” Qualcosa del genere avviene per molte altre parole; così ad esempio per quel che riguarda l’espressione “procreazione responsabile” la manipolazione è giunta ad attribuirle valenza di un diritto della donna in merito al decidere (in qualunque modo) sulla propria fertilità. L’inganno è sottile, e mai come in questo caso parole dell’etica cristiana sono state manipolate ed usate contro la creatura umana. La formula “procreazione responsabile = autodeterminazione della donna” sembrerebbe infatti un enunciato innocuo; in realtà esso tende ad affermare l’idea che la facoltà sessuale ed il suo esercizio non abbia in sé e per sé nessun significato, se non quello che gli viene attribuito da ciascuno. Così nel concetto di “procreazione responsabile” si introduce anche la legittimazione dell’aborto e della sterilizzazione. Analogo discorso vale per i contenuti bugiardi attribuiti all’espressione “salute riproduttiva”; si tratta di una ulteriore manipolazione del linguaggio, poiché con questo termine in realtà si afferma non un diritto, ma la legittimazione ad imporre a popolazioni povere la contraccezione, la sterilizzazione e l’aborto. Cos’è la “libertà” Altro enunciato del tutto falso è quello che concepisce la libertà come “assenza di legami”. Ho sperimentato che un modello culturale di tal genere può condurre all’autodistruzione, perché finisce per rendere schiavi di idoli crudeli. Il realismo dell’esperienza quotidiana dimostra invece che l’avere “legami” è un dato originario, perché l’esistenza stessa inizia dalla relazione con i propri genitori. Nessuno esiste per propria libera scelta autonoma, o perché qualcuno gliene abbia chiesto il permesso, perciò non v’è nulla di più falso che affermare una autosufficienza svincolata da una comunità che precede. Anzi, crescendo, la creatura sperimenta la dipendenza da persone che la accudiscono e la educano, così da raggiungere una propria maturità di giudizio autonomo. Evidenza incontestabile è dunque che l’essere umano proviene da un’Origine che non sta in lui; la prima libertà sta quindi nel riconoscere tale Origine legandosi ad essa, come un alpinista che è più libero se rimane attaccato alla roccia con piccone e corda di sicurezza, piuttosto che presumere di fare tutto da sé senza appigli e poi precipitare in un burrone.
La manipolazione subdola del linguaggio
Etica. In tema delle questioni più sensibili, si nota oggi la tendenza a usare parole che “mascherano” il vero intento
AUTORE:
Pier Luigi Galassi