Nel primo capitolo del Vangelo di Marco si descrive l’avvio dell’attività pubblica di Gesù. I canali attraverso cui inizialmente si manifesta la portata divina della sua presenza sono due: l’autorevolezza dell’insegnamento e il potere di operare miracoli. Nel brano di questa domenica si parla della seconda modalità. Gesù si trova di fronte alla disperazione di un lebbroso. Il lebbroso è il reietto per eccellenza, è l’impuro, il castigato da Dio e dallo stigma sociale. Al tempo di Gesù, chiunque avesse incontrato un lebbroso era tenuto a gridare a tutti: “Impuro! Impuro!” (Lv 13,45). Ma la disperazione, oggi come allora, non si cura delle prescrizioni.
Il lebbroso avverte che, inaspettatamente, una possibilità di salvezza si è presentata anche per lui: riconosce il Cristo, trascina il suo povero corpo, si inginocchia, lo supplica. Il Figlio dell’uomo non può rimanere indifferente, prova compassione, patisce insieme (cum-patior). La logica della misericordia anche in questo caso è superiore alla logica della legge. All’istante Gesù unisce gesto e parola (“lo toccò e gli disse…”) e guarisce il lebbroso. Diceva G. K. Chesterton con acume: “Un miracolo è impressionante, ma è semplice. È semplice perché è un miracolo”. Nella linearità della logica evangelica, l’immediatezza del comportamento di Cristo ci interroga profondamente. Ci chiama alla domanda su quali possano essere ai nostri occhi i reietti dei nostri tempi, dei nostri luoghi. Ci chiama alla domanda su quali possano essere quelle persone, quelle situazioni, quelle scelte che quotidianamente siamo pronti a passare per il filo della nostra legge anziché a portare nell’abbraccio della misericordia evangelica.
Ma Gesù ci interroga anche con la modalità in cui la risposta viene data al lebbroso. Se in quel “guarisci” si palesa la potenza divina del Salvatore, è di un’umanità disarmante il “lo voglio” che Gesù concede al “se vuoi, puoi guarirmi” del lebbroso. È il Divino che si pone al servizio dell’Umano, fino a farsi servo della domanda che l’uomo pone a Dio. È la tenerezza di un Dio che forse più spesso andrebbe interpellato nelle nostre piccole e grandi lebbre quotidiane: proprio perché esiste il margine della risposta. È il tocco di Gesù che guarisce, il tocco che aveva guarito la suocera di Simon Pietro: solo il contatto con la sua persona che salva, nello stile di una carezza che giunge dove la legge non può giungere.
Un istante dopo la guarigione, Gesù sembra spiazzarci: ammonisce severamente il miracolato (il verbo embrimào significa proprio “strapazzare”), e gli intima di consegnare l’ufficialità della guarigione ai sacerdoti, come prescritto dalla legge (cfr. Lv 14). La storia, infatti, passa anche per la Legge, che Gesù conosce e che vuole rinnovare dall’interno. Gesù non è un rivoluzionario come falsamente insinueranno scribi o farisei, o meglio, non è il profeta di una piccola rivoluzione ideologica. La guarigione del lebbroso e l’annuncio della possibilità della misericordia sono le scintille della portata messianica che genera l’irruzione del Divino nella Storia. Ciononostante, la consegna del silenzio viene subito trasgredita, e il mondo inizia prepotentemente a rendersi conto che la Storia stava iniziando a vivere la sua cesura più importante.
Per quanto ci riguarda, l’epilogo di questa vicenda è essenziale perché racconta di nuovo come la dialettica misericordia-legge sia in realtà un falso problema, nella misura in cui si tratta di due realtà relative a piani distinti. La legge esprime un contenuto e orienta situazioni generali nelle quali uomini e donne possono sovente trovarsi; la misericordia costringe al confronto con ciò che è assolutamente individuale e irripetibile, al punto che sfugge a ogni generalizzazione, tanto che i miracoli di Gesù non sono per tutti i lebbrosi ma solo per qualche lebbroso. C’era una legge che vietava il contatto con gli impuri. Grazie a quell’attimo eterno del tocco leggero di Gesù, si apre nella legge uno spazio di assoluta libertà che racconta contenuti nuovi.
Non sappiamo se, vedendo arrivare il lebbroso guarito, quei sacerdoti abbiano colto questa possibilità; non sappiamo se nel Tempio sarebbe passato un momento insondabile di tenerezza. Sappiamo che la potenza di Gesù crea sempre nuove realtà. A noi sta offrire le nostre ferite, ma anche i nostri dubbi e le nostre certezze, perché col Suo tocco diventino sorgente non di ansia ma di pace, non di falsa coerenza ma di verità.