L’ordinazione di un sacerdote è un dono di Dio, un segno del Suo amore fedele e provvidente per la nostra Chiesa di Orvieto-Todi. Luca Castrica, 34 anni, domenica 28 giugno alle ore 17 nella cattedrale di Orvieto, per l’imposizione delle mani e la preghiera consacratoria di mons. Benedetto Tuzia, sarà ordinato sacerdote. Lo abbiamo intervistato.
Quanto ti sei accorto che Dio parlava al tuo cuore e ti chiamava a distaccarti da tutto per servirlo?
“All’età di 18 anni ho iniziato a percepire i germi della chiamata, ma il mio padre spirituale, mons. Domenico Cancian, mi suggerì, saggiamente, di attendere la conclusione degli studi universitari, poiché umanamente non ero ancora pronto per una scelta di questo tipo. L’attesa avrebbe invece purificato le mie intenzioni e mi avrebbe garantito una maggiore libertà interiore.
Terminato il quinquennio istituzionale, però, la serenità tanto attesa non arrivò. Pertanto dovetti prendere altro tempo per fare chiarezza. Non tutti compresero la mia scelta, ma a posteriori non mi pento di quello che ho fatto. Solamente a 28 anni ho sperimentato la libertà, la consapevolezza e la responsabilità sufficienti per entrare in seminario. Evidentemente il Signore non mi ha fatto mancare la grazia per scegliere al momento opportuno”.
Cosa hanno detto i tuoi genitori quando hai comunicato la tua intenzione di diventare sacerdote?
“Hanno preso atto della mia decisione con grande rispetto, nonostante l’inevitabile sorpresa. Nel tempo li ho visti sempre più felici di questa scelta, perché hanno verificato che era Dio l’artefice di tutto. Sono profondamente grato alla mia famiglia per l’educazione che mi ha trasmesso e, soprattutto, per la testimonianza di fede con la quale mi ha educato fin da bambino. Credo di avere dei santi genitori”.
E gli amici sono stati contenti, increduli, o pronti a deriderti?
“Anche in loro ho percepito un grande rispetto. La maggioranza dei miei amici condivide la mia stessa fede e ha accolto con gioia la mia decisione. Coloro i quali erano a conoscenza delle difficoltà che ho incontrato prima della scelta si sono mostrati giustamente cauti, ma, allo stesso tempo, mi hanno sostenuto con tanto affetto. Nei loro confronti provo pertanto un enorme senso di gratitudine”.
Che ricordo hai degli anni trascorsi in seminario?
“Il seminario è un passaggio assolutamente necessario. Lo paragonerei a una porta stretta attraverso la quale è opportuno passare, se si vuole diventare santi sacerdoti. Ha ragione chi lo definisce come un tempo e un luogo di ‘destrutturazione’. Si entra convinti che la propria esperienza di Chiesa sia la migliore possibile, per poi accorgersi che ce ne sono tante altre altrettanto belle. Lo stesso vale per le persone. Quanta santità è possibile scorgere all’interno di queste mura!
L’aspetto che più mi manca è in assoluto la qualità delle relazioni. Non è possibile andare in profondità con tutti; ciò nonostante, il Signore mi ha messo vicino fratelli con i quali ho potuto condividere la bellezza della fede e sperimentare un accrescimento vicendevole. Sono pronto a scommettere su queste amicizie spirituali anche per l’avvenire”.
Che ti senti di dire ai giovani amici che, oggi, ti guardano?
“Vorrei solo chiarire che non sono migliore di loro. Non sono un ‘superuomo’ e non voglio essere lodato. Ricorderei loro, solamente, che il segreto per vivere in pienezza è fare la volontà di Dio. Si tratta di un ideale alto, ma assolutamente alla portata di tutti. Non potrebbe essere altrimenti!”.