Dormivo alla grande, di fronte alla Tv, quando dal cubo fatale è venuta una voce: ‘Giustizia distributiva’. Mi sono svegliato di soprassalto. ‘Porta a porta’, il ‘talk-show che punge’ (? solo perché lui si chiama Vespa); stavano battagliando Bertinotti e il Presidente del Consiglio. Il quale di recente ha preso l’abitudine di schiacciare una palpebra sull’altra, fino ridurre i suoi occhi a una fessura. Come mai? Ci si vede meglio? Si riesce a scendere nell’animo di chi ti sta davanti? Gli serve a convincerlo della giustezza dei tuoi sondaggi? Probabilmente la spiegazione è molto più semplice, ma io ne sono rimasto affascinato. Irrazionalmente. Ed ho provato ad imitarlo. Cinque minuti di occhi a fessura, e ho dormito mezz’ora. Cosa che (purtroppo) non accade al Cavaliere, e non gli accadrà fino quando non si deciderà a ridurre da 15 a 14 ore la sua giornata di lavoro. Presidente, così Lei finisce in cattiva salute!! Cattiva quasi quanto quella nella quale è di recente finito il popolo che Lei aveva garantito con la carta bollata. Dormivo, quando dal cubo prepotente è giunta una voce: ‘Giustizia distributiva’. Impossibile. E chi è? Come si permette? ‘Giustizia distributiva’. Roba da archeologia sociale. Era Bertinotti. Lui che (l’ha fatto anche quella sera) cita san Paolo a braccio, come facevano i sarti di una volta con la stoffa, ma – ahimé! – non è dei nostri. A che cosa pensa, oggi, chi s’imbatte nella ‘giustizia distributiva’ appena riemersa dalla sgabuzzino delle cianfrusaglie? Pensa alla fine della disoccupazione? Pensa al salario minimo garantito? Bene. Ma, da figli di una Chiesa ‘esperta di umanità’, mi sembra che dobbiamo dire che la fine della disoccupazione e lo stipendio minimo garantito, grandissima cosa in momenti come questi, non sono (non dovrebbero essere) gli obiettivi massimi, ma gli obiettivi minimi dell’azione sociale. Almeno in ‘un mondo a misura di persona’. L’uomo non è stato creato per sopravvivere, ma per vivere, e vedere crescere sempre più le proprie opportunità di vita. La concezione liberale di un tempo, secondo la quale il giusto salario è quello che basta a far sì che l’operaio possa domani tornare a lavorare, non è una concezione a misura d’uomo, ma a misura di gallina ovaiola. Nell’Africa sub-sahariana sarebbe la luna nel pozzo, da noi no. Per la gallina ovaiola la giusta razione d’intrisa è quella che le permette di fare l’uovo sine ira et studio. Per l’uomo no. L’uomo si porta dentro una sete di crescita, una volontà di affinare e moltiplicare le sue chances di vita che gli vengono direttamente da Dio. Chi s’accontenta gode? No, chi s’accontenta tradisce. Ma deve essere Bertinotti a ricordarcelo?
La gallina ovaiola
AUTORE:
Angelo M. Fanucci