Quando Giovanni Paolo II andò a trovare Alì Agca, il suo attentatore, per offrirgli il suo perdono senza essere da questi ricambiato, si congedò da lui dicendo: “Caro fratello, come possiamo presentarci al cospetto di Dio se qui, sulla terra, non ci perdoniamo a vicenda!” (Dziwisz, Una vita con Karol, ed. Rizzoli, p. 127). Jean Bernar, un prete lussemburghese, nel diario che compose durante la sua prigionia in un campo di concentramento nazista, scrisse: “Bisogna perdonare consapevolmente, avendo tutto l’orrore per quanto accaduto. Non solo perché sull’odio non sì costruisce nulla… ma soprattutto per obbedire al comandamento e all’amore di Colui davanti al quale noi stessi, vittime e carnefici, siamo solo miserevoli debitori” (Un prete a Dachau 1941-42, ed. San Paolo). Carlo Castagna perdonò subito Olindo Romano e Rosa Bazzi killer di Erba che lo avevano gravemente ferito e che gli avevano ucciso la moglie Paola, la figlia Raffaella e il nipote Youssuf e non ebbe paura, lui cattolico convinto, di partecipare con profondo rispetto a un funerale islamico in terra straniera. Giovanni Pinna, il sardo di Bonorva, sequestrato per 260 giorni in uno squallido ovile, una volta liberato, al suo arcivescovo mons. Paolo Atzei ha detto: “Quando all’orizzonte non vedi più nulla, quando non esistono più nemmeno i tuoi cari, ti viene nostalgia di Dio e capisci che un solo sentimento esiste, il grazie a Lui e il perdono agli altri”.
Non sono che alcuni dei tanti esempi che si potrebbero riportare. È proprio vero ciò che ha scritto il poeta indiano Tagore: “L’avversità è grande, ma l’uomo è più grande dell’avversità”. Purtroppo non mancano esempi opposti. A Fidene, durante i funerali di Vanessa Russo, la ragazza romana uccisa con un’ombrellata da una donna romena, quando il celebrante invitò al perdono alcuni del pubblico gridarono: “No, no, mai!”; il fatto fu riportato da quasi tutti i giornali e anche da alcune trasmissioni televisive, e non mancarono commenti acidi e settari sul perdono cristiano.
Che c’è dietro a queste opposte reazioni? Indiscutibilmente c’è la condanna per delitti mostruosi, di cui ormai anche i telegiornali sono pieni; c’è la falsa persuasione che il perdono impedisca alla giustizia di fare il suo corso; c’è la presunzione di poter decidere da soli senza Dio ciò che è bene e ciò che è male e c’è, soprattutto, una fede che non è riuscita ad assimilare in profondità la novità della vita cristiana. Un anonimo sufi ha scritto: “O Dio, fammi sentire che il perdono è il maggiore indice di forza e che la vendetta è soltanto una prova di debolezza”.
Il perdono è una risorsa straordinaria di fede, di speranza e di vita ed è particolarmente necessario in una società che appare dominata dalla conflittualità dal settarismo e dall’intransigenza. Il perdono dimostra che, se nell’uomo c’è l’abisso sconcertante del male, c’è anche la grandezza dell’amore. Il perdono non elimina la giustizia umana, anzi la postula giusta e concreta, e incide perfino nel reo, poiché nessuno meglio di chi ha sperimentato la dolcezza del perdono è in grado di capire il dovere della riparazione e la bellezza di una vita nuova. La vittoria vera, infatti, non sta nella morte del reo, ma nella sua rinascita, poiché il vero amore si fa simile al chicco di grano che morendo genera una spiga. In questo campo il grande modello è san Francesco di Assisi, riconciliato con Dio, con i fratelli, e con il creato. Il perdono ci rende veri seguaci di Cristo, che sulla croce arrivò a scusare perfino i suoi crocifissori e che di fronte alla donna adultera disse: “Chi di voi è senza peccato scagli per primo la pietra contro di lei” e alla donna: “Va’ e d’ora in poi non peccare più” (Gv 8, 7.11).
Il Papa ha scritto: “Perdonare… è più di un ignorare, di un semplice voler dimenticare. La colpa deve essere smaltita, sanata e così superata. Il perdono ha il suo prezzo, innanzi tutto per colui che perdona: egli deve superare in sé il male subito, deve come bruciarlo dentro di sé e con ciò rinnovare se stesso, così da coinvolgere poi in questo processo di trasformazione, di purificazione interiore, anche l’altro, il colpevole, e ambedue, soffrendo fino in fondo il male e superandolo, diventare nuovi” (Gesù di Nazareth ed. Rizzoli, p. 190).