La fede messa a “dura prova”

Ci ha scritto Nello Pellegrini da Assisi: “Nella rubrica Abat Jour di don Fanucci, ho letto qualcosa che sinceramente mi ha molto turbato. Racconta il Fanucci, che con alcuni suoi confratelli andò a trovare un sacerdote, da tempo molto malato, che ricevendoli, poiché non poteva parlare, gli stringeva forte la mano, mentre le lacrime bagnavano il suo viso. A tale vista un confratello, mormorò ‘È duro cadere nelle mani del Dio vivente’, ed il Fanucci aggiunge ‘ancora più duro ostinarsi a credere che sono le mani di un Padre’. C’è da rimanere senza fiato! Forse non ho capito io il significato di tali parole e nel caso chiedo scusa al Fanucci, ma mi sembra che siano molto chiare. Ora mi chiedo, se dei sacerdoti fanno queste affermazioni, cosa devono dire i fedeli? Io ho sempre saputo che Dio è un padre buono e misericordioso, anche se a volte mette a dura prova la nostra fede. Ognuno di noi avrà certamente sentito che qualcuno si domanda ‘ma ci sarà qualcosa di là?’ Forse c’è una spiegazione, perché la massa dei cattolici si allontana dalla Chiesa, qualcuno addirittura diventa musulmano o buddista. E la domanda di Gesù ‘Quando il figlio dell’Uomo, ritornerà sulla terra, troverà ancora la fede?’ diventa terribilmente attuale. Non intendo fare il processo a nessuno, ma certamente la crisi è profonda”.

Caro Pellegrini, non è che lei non ha capito, sono io che evidentemente non mi sono spiegato. Volevo semplicemente sottolineare con la matita blu quello cui anche lei accenna quando di Dio misericordioso scrive: anche se a volte mette a dura prova la nostra fede. Questa “dura prova” a volte è come un terremoto dell’ultimo grado della scala Richter. E qualcuno in quei momenti non ce la fa, come Eli Wiesel quando in campo di concentramento, girando l’angolo della baracca, si trovò davanti un bambino impiccato dalle SS con il fil di ferro. Il confratello che ho citato ha citato la Bibbia: “È terribile cadere nella mani del Dio vivente”. E io ho aggiunto che in momenti come quelli, o la fede diventa santa ostinazione, spes contra spem nella paternità di Dio, o, se si vuol sfuggire ad un tempo al progetto di colpo di pistola alla tempia, al cinismo e alla fuoriuscita dalla ragionevolezza, bisogna ricorrere allo psichiatra. Del resto Nostro Signore sulla croce ha gridato “Padre mio, perché m’hai abbandonato?”. E non “Hai forse intenzione di abbandonarmi?” No, passato prossimo: cosa fatta. L’hai fatto, non ti sei limitato a progettarlo! In quel grido ha il suo punto più alto quella che Paolo chiama la kènosis di Dio, il suo progressivo sprofondamento nella storia degli uomini (creazione-esodo-incarnazione-croce). Quando si sprofonda il punto più alto è quello più basso. E facendo leva su quel punto è possibile, anzi doveroso pronunciare sempre parole di speranza. Dure, difficili, ma autentiche.

AUTORE: Angelo M. Fanucci