Ho spento l’abat jour della settimana scorsa sull’interrogativo se Massimo e Folco si siano salvati. Cantano anche loro, oggi, nel Coro dei 144.000 segnati? Non erano nella barca delle fede, alla quale il Signore ha affidato il compito di traghettarci all’altra riva. Ma, quella riva, l’hanno raggiunta ugualmente. Domanda: il loro, è stato un ‘salvataggio in corner’, o tutt’altra cosa? Da qualche tempo medito le giovani tesi teologiche di Vito Mancuso, autore dei due splendidi volumi che gli ha pubblicato Mondadori, Il dolore innocente nel 2002 e Per amore nel 2005. Due tesi, sopra tutte le altre: la fede difficile, il percorso da rivisitare. Prima: la fede, oggi, o è difficile o non è fede. Seconda: nella scia della nostra teologia mistica, il percorso della fede va ripensato, a fondo. Io provo un fastidio istintivo, umorale, per la fede facile. Per l’agevole sicurezza che emerge da certe preghiere ad alta voce: ‘Il Signore questa sera mi ha detto’; ‘Il Signore ieri sera mi diceva’; ‘Il Signore domani sera mi dirà’. Bah! Il Signore che io, da giovane, ho conosciuto sul marciapiedi della stazione di partenza, quando dovevo scegliere su quale treno salire, per andare dove, e al fascino santo del Monte di Sion faceva da contraltare il fascino equivoco del monte di Venere, era un Signore taciturno: tu lo pregavi di darti istruzioni, e lui – bene che andasse – borbottava quattro monosillabi, a volte incomprensibili. Che oggi quel Signore sia diventato loquace, beh!, questo ti scalda il cuore. Fino a quando, più che loquace, ti sembra diventato ‘logorroico’, sit venia verbis. Il culto di Alessandro Manzoni, insieme con quello di Dante e di don Milani, ha impedito che la mia piccola militanza di ‘sagrestano di Talia’ (‘sacerdote’ sarebbe troppo!) approdasse a quella che nutrì e al tempo stesso isterilì la vena poetica di Guido Gozzano: ‘la fede letteraria // che fa la vita simile alla morte’. Ma nella mia vita di Christifidelis che ormai volge al tramonto, c’è stato solo un momento in cui il grande don Lisander mi è un po’ – come dire? – scaduto. È stato quando, sconvolto dalla notizia della morte di Napoleone, il 5 maggio 1821 intonò ‘un cantico che forse non morrà’ davanti alla salma del Grande Macellaio. Forse Manzoni era stato contagiato dal suo quasi/amico Niccolò Tommaseo che, con un’incoscienza degna di peggior causa, canticchiava ‘Ovunque il guardo giro, immenso Dio ti vedo’. Forse. Certo è che il papà di Renzo, Lucia, don Abbondio, Federigo se ne uscì con un’apostrofe alla Fede che da giovane mi ha convinto, oggi non più: ‘Bella, immortal, benefica // fede ai trionfi avvezza’. Ma quali ‘trionfi’? Quali? La fede oggi o è difficile o non è fede.