La Chiesa sta vivendo un momento decisivo del suo cammino nella storia attuale, di cui il recente Sinodo dei vescovi ha segnato una tappa fondamentale. Il Santo Padre nella liturgia di apertura del Sinodo sottolineava che “il matrimonio, costituisce in se stesso un Vangelo, una buona notizia per il mondo di oggi”. Poiché “si fonda sulla grazia che viene da Dio uno e trino”, parla con forza di Dio. Il matrimonio resta una buona notizia anche per il mondo di oggi perché risponde al bisogno radicale di famiglia iscritto nell’uomo e nella donna sin dalla creazione. Eppure, tanta storia occidentale è stata concepita come liberazione da ogni legame: i legami con gli altri, quindi la famiglia, la responsabilità verso l’altro. È vero che i vincoli, talora, hanno anche oppresso la soggettività. Ma oggi la vertigine della solitudine con il culto dell’“io” sciolto da ogni legame, anche da Dio, rischia di uccidere ogni soggettività facendo precipitare rovinosamente in basso. In questa situazione, i legami affettivi, sessuali, vengono compresi e vissuti nell’orizzonte privato della solitudine. Il sopraggiunto spaesamento provocato dalla globalizzazione accentua ancor più il ripiegamento su di sé. E in una società sempre più individualizzata è facile mettere in discussione sia il matrimonio che la famiglia: non si riconosce più nel matrimonio la radice della famiglia e in quest’ultima il fondamento della società, sovvertendo così una secolare antropologia che faceva dire anche a Cicerone familia est principium urbis e quasi seminarium rei publicae [la famiglia è principio della città, e – possiamo dire – seme dello Stato]. Lo scardinamento della famiglia è forse il problema numero uno della società contemporanea, anche se pochi se ne rendono conto.
Non così la Chiesa, “esperta in umanità”. Per questo non possiamo tacere. Non perché siamo tradizionalisti o conservatori di un istituto superato. Qui è in questione il futuro stesso della società. Semmai siamo “conservatori dell’avvenire”, appunto del futuro della società. Conosciamo bene infatti l’alto prezzo delle fragilità familiari che viene pagato soprattutto dai figli (nati e non nati), dagli anziani, dai malati. Al contrario, la famiglia significa casa, stabilità, crescita, futuro. Da parte nostra è urgente una più attenta riflessione culturale e una più vigorosa azione perché la famiglia sia posta al centro della politica, della economia, della cultura, sia nei paesi che nelle istanze internazionali, coinvolgendo anche credenti di altre tradizioni religiose e uomini di buona volontà. Vanno inoltre smascherate le scelte sbagliate vestite di ragionevolezza. Si ritiene ad esempio che sia impossibile pensare alla fedeltà matrimoniale “per sempre”. C’è bisogno poi di dare voce alle numerose famiglie cristiane che vivono, talora eroicamente, la fedeltà e l’impegno nel matrimonio e nella famiglia. Esse sono una risorsa per la Chiesa e per la stessa società. Vanno sostenute, accompagnate e mostrate. Le Giornate mondiali delle famiglie – penso a quella di Milano e alla prossima a Filadelfia – devono essere una festa, e mostrare che la famiglia non solo è possibile, è anche bella. La Chiesa deve presentarsi sempre più come la “famiglia delle famiglie”, anche di quelle ferite, bisognose di sostegno e di amore. Parafrasando l’antico detto di san Cipriano: “Se si ha la Chiesa per madre, è più facile sentire Dio come Padre”.