“Con te (Signore) è il perdono” afferma l’Autore del Salmo 129 che ascoltiamo e preghiamo questa X Domenica del Tempo ordinario. E di peccato e di redenzione ci parla la prima Lettura tratta dal Libro della Genesi. Appena commessa la disobbedienza, Adamo e sua moglie si nascondono “dalla presenza del Signore Dio”, ma il Signore non si lascia abbandonare da loro ed interpella l’“uomo” chiedendogli non “che hai fatto?!”, ma “dove sei?”. Dopo questa profonda provocazione, conduce pian piano i due a confessare la loro colpa.
È la pedagogia di Dio, che con gradualità e tenerezza porta l’essere umano a riconoscere le proprie mancanze e il parametro per riconoscerle è il confronto con la Sua Parola, quanto la si è ascoltata e quanto la si è assecondata. Il peccato è stato infatti quello di non aver eseguito quanto aveva detto la “voce del Signore” e ciò ha interrotto il rapporto di familiarità tra i primi due esseri umani e Dio.
Di familiarità con il Signore si parla anche nel Vangelo di Marco.
La pagina è tratta dal cap. 3 dove l’Autore ci presenta il momento apice dell’attività missionaria di Gesù, attività che è corrisposta da un incalcolabile seguito di folla che ripetutamente lo interpella non permettendo a Gesù e a chi lo ha ospitato di toccare cibo. È scritto infatti che Gesù “entrò in una casa e di nuovo si radunò una folla, tanto che non potevano neppure mangiare”. Gesù non si risparmia e manifesta un’amorevole e pronta dedizione verso tutti che, per assurdo, è causa di commenti aspri da parte dei suoi familiari e dei capi giudei. In ordine vengono nominati per primi i familiari che, “sentito questo”, definiscono Gesù “fuori di sé”, poi viene menzionato il giudizio degli scribi che reputano Gesù “posseduto da Beelzebul”.
Analizziamo l’ordine dei fatti. Mentre “i suoi uscirono per andarlo a prendere”, arrivano per primi gli scribi “scesi da Geru- salemme”, si tratta cioè delle massime autorità giudaiche. Quest’ultime vengono tuttavia subito “azzerate’ dalla risposta “logica” di Gesù che all’accusa di essere “posseduto da Beelzebul” e di scacciare i demoni per mezzo di lui, Gesù rivolge l’interrogativo: “Come può Satana scacciare Satana?”. Poi Gesù continua a sentenziare e, servendosi delle metafore del “regno” e della “casa” e soprattutto della parabola dell’“uomo forte” parla della vittoria del bene sul male.
Il linguaggio si rifà all’AT, specie a quello del profeta Isaia dove l’azione salvifica del Signore è paragonata alle imprese vittoriose di “un uomo forte” (49,24-25). Qualsiasi male può essere perciò sconfitto, ma Gesù ora indurisce il tono e, avviandosi a concludere la risposta all’accusa di “essere posseduto da uno spirito impuro” mette in guardia dal rifiuto dell’azione che il Padre opera nella Sua persona perché ciò costituisce un affronto all’amore di Dio, “una bestemmia contro lo Spirito santo”, la forza divina ricevuta nel giorno del battesimo nel Giordano. Il “peccato contro lo Spirito santo” nel contesto riguarda il palese rifiuto della persona e della missione di Gesù e non può essere perdonato perché manca dell’imprescindibile elemento della conversione. Non appena terminata la conversazione con gli scribi, sopraggiungono “sua madre e i suoi fratelli”. Il gruppo dei “fratelli” con “sua madre” compare in questo episodio e dopo l’Ascensione in veste di comunità orante (At 1,14). I soli “fratelli” sono menzionati di nuovo e anche per nome durante il discorso sull’identità di Gesù (Mc 6,3). Chi sono questi “fratelli” non è dato saperlo. L’elemento di solito immancabile circa l’origine familiare non è riportato. Non è detto “fratelli, figli di sua madre” o di altri. Negli altri casi si afferma, ad esempio, “Simone di Giovanni”, “Giovanni e Giacomo figli di Zebedeo”, ma relativamente a questo gruppo è riportata la sintetica espressione “fratelli” che, in virtù della polisemia del sostantivo ebraico “fratelli” può riferirsi a fratelli, cugini o parenti in genere.
Comunque, questo insieme di “parenti” di Gesù svolge un ruolo autorevole perché insieme a Maria si sono sentiti in dovere di “andarlo a prendere”. Ma alla notizia: “tua madre, i tuoi fratelli e le tue sorelle ti cercano”, Gesù sollecita a credere più nell’importanza dei legami con i membri della comunità che accoglie la Sua Parola che non con i membri della parentela di sangue. Con questa risposta, Gesù sembra voler sovvertire uno dei fondamenti su cui si basa l’ordine sociale secondo la Torah: la famiglia. E infatti qui viene proposto un cambiamento di vedute: dall’adesione alla Torah, si passa all’adesione alla persona di Gesù. Il concetto di “famiglia” quindi si estende e il “destino” del credente non è più da considerare temporaneo, ma infinito perché “da Dio riceveremo una dimora eterna” (2 Cor 5,1). Pertanto il messaggio della Parola di questa Domenica è la ricerca della familiarità con il Signore. L’ “ascolto” è a proposito il fondamento di tutto. Adamo ed Eva non hanno ascoltato la “voce del Signore” ed hanno perso la familiarità con Dio. Hanno poi di nuovo “udito la voce del Signore nel giardino” ed hanno così permesso al Signore di riaprire il dialogo con loro. Chi rifiuta la Parola del Signore si preclude la salvezza eterna, chi la “ascolta” e “fa la volontà di Dio” è un familiare di Gesù, ed entra a far parte della grande famiglia “più ampia di quella in cui si viene al mondo” che fa misteriosamente sentire uniti i membri che vicendevolmente si sostengono a favore dell’edificazione del Regno di Dio e godono della libertà perché “la familiarità con Gesù ci rende liberi” (Papa Francesco 26.09.2017).
LA PAROLA della Domenica
PRIMA LETTURA
Dal Libro della Genesi 3,9-15
SALMO RESPONSORIALE
Salmo 129
SECONDA LETTURA
II Lettera ai Corinzi 4,13-5,1
VANGELO
Dal Vangelo di Marco 3,20-35