La domenica è il giorno della serenità ma i ternani preferiscono il sabato

L'indagine La Voce - Gfk-Asm mostra una diminuita capacità di vivere la festa tra gli abitanti di Terni - Narni - Amelia

La Voce ha commissionato una inchiesta alla Gfk-Asm di Roma per conoscere in quale modo ternani, narnesi e amerini vivono il giorno festivo e in particolare la domenica, nonché quali giorni della settimana essi preferiscono. Non ci siamo solo chiesti se e quante volte si va a messa, ma più in generale si è cercato di capire come viene vissuto il giorno di festa per eccellenza, la domenica. E’ su questo aspetto che abbiamo concentrato l’attenzione in questo primo articolo (con la presentazione dei dati da parte di Luca Diotallevi, curatore della ricerca, e il commento di Lilia Sebastiani, teologa), mentre nel prossimo numero de La Voce pubblicheremo i dati che si riferiscono alla frequenza alla Messa festiva e commenti che aiuteranno a capire cosa c’è dietro i numeri. In questi mesi nei consigli pastorali parrocchialicome anche nelle più diverse realtà ecclesiali, si sta facendo un lavoro di ‘discernimento comunitario’ sul tema scelto per questo anno pastorale: riscoprire la domenica come giorno del Signore. All’assemblea diocesana ed alla lettera di mons.Paglia che ne seguì, ricchi di suggerimenti e provocazioni per una riflessione corale sul tema, ora si aggiunge questa ricerca che presenta dei dati forse insospettati, che certamente arricchiranno la riflessione e le proposte che saranno presentate al Consiglio pastorale diocesano. Uno dei risultati più sorprendenti della ricerca promossa da La Voce e sostenuta dalla Curia di Terni Narni Amelia su alcuni aspetti del modo di intendere e vivere la domenica è che … da queste parti la gente preferisce il sabato (il 54% degli intervistati, contro solo il 35% che indica la domenica; il 6% addirittura preferisce il lunedì). Ancora: potendo scegliere un solo aggettivo tra quattro per definire la domenica, il 67% degli intervistati sceglie “serenità” collocandosi, in un certo senso, tra un 12,5% che sceglie “noia” o “tristezza” e un 19% che sceglie “gioia”. Lo scenario, come si vede, è piuttosto leopardiano (Il sabato del villaggio). Forse, la paura dell’ennesima illusione, prodotta da una festa annunciata ma non sperimentata, fa preferire il giorno della vigilia, quello in cui tutto è ancora possibile. Dalla ricerca emerge che, nell’arco di tempo settimanale, la festa – quanto meno – non coinvolge la collettività locale. La festa non viene celebrata, e dicendo questo non ci riferiamo solo a riti religiosi: nella domenica più recente, infatti, meno del 30% degli adulti era stato invitato od aveva invitato a pranzo qualcuno. Nella stessa domenica aveva lavorato il 39% dei lavoratori autonomi, il 31% dei quali lo fa quasi tutte le domeniche per almeno qualche ora. Tra i lavoratori dipendenti aveva lavorato il 33%, mentre solo il 13% lo fa abitualmente. Il lavoro domenicale, come si vede, a differenza di quanto avveniva in un passato anche non troppo remoto, è più una scelta personale che obbligo. In termini più generali, oltre il 67% degli intervistati vorrebbe che la domenica fossero aperti almeno alcuni negozi. Questi, come altri risultati della ricerca, richiedono una attenta riflessione. La società locale del ternano-narnese-amerino non esprime certo una cultura dell’iperattivismo. Rispetto al resto del paese, pochi sono gli “attivi” (coloro che lavorano o che vorrebbero farlo), molti di questi lavorano ancor meno di quanto lavora la media degli italiani, e tutti o quasi cercano e riescono a ritagliarsi individualmente spazi di riposo. Il punto che ci interroga collettivamente, che deve interrogare non solo la Chiesa ma anche tutte le altre soggettività sociali e culturali, riguarda la festa. Quanto può sopravvivere una società senza un tempo festivo collettivamente riconosciuto, vissuto e garantito come tale (in questo caso con scadenza settimanale)? Ci si potrebbe chiedere: ma non basta il riposo ed il divertimento individuali? A cosa servono la festa e la ricreazione collettiva (ed eventualmente comunitaria)? Se la festa scompare e il riposo viene lasciato alla capacità dell’individuo di conquistarselo, questo, inevitabilmente, si rivela per quello che è: un bene molto costoso. Basta un esempio: la domenica non fanno lavori domestici il 45% degli uomini ed il 7% delle donne; ne fanno quanti gli altri giorni il 37% degli uomini ed il 59% delle donne; ne debbono fare più di quanti già ne facciano gli altri giorni il 18% degli uomini ed il 34% delle donne. Senza una cultura pubblica della festa, senza cioè che la festa sia vissuta come un diritto-dovere di tutti, il risultato che ne consegue – per rimanere al solo ambito della differenza uomo-donna ed al solo spazio domestico – è che la domenica alle donne va ancora peggio di quanto già non vada nel resto della settimana. Mentre nella cultura della festa c’è spazio anche per ulteriori quote di divertimento individuale; nella cultura che conosce solo la possibilità individuale di “staccare”, il riposo diviene un bene di lusso. Non a caso, se c’è una cosa che anche le società più avanzate hanno copiato da quelle tradizionali, e che la cultura laica ha assunto dalle culture religiose, questa cosa è stata proprio la festa. Ed allora la questione è: ma quella delle nostre aree locali che modernità è?

AUTORE: Luca Diotallevi