Secondo la mia personale, limitatissima, abborracciata sensibilità di prete e di cristiano la cultura dalla quale il magistero e la teologia cattolici nel loro recente passato hanno più largamente mutuato nuove impostazioni mentali, entrate poi in circolo nell’organismo ecclesiale, è stata la cultura materialista. Sui muri della mia città compaiono spesso dei manifesti polemici. In genere si tratta di polemica fra sinistra e sinistra, perché da queste parti il ballottaggio elettorale s’è svolto in questi termini. Ma ogni tanto la destra fa capolino e affigge anche lei un suo manifesto. Su uno di questi l’altro ieri è ricomparso l’aggettivo “cattocomunista”. Aggettivo immorale al pianterreno, là dove sottobanco si mercanteggiano i favori di piccolo cabotaggio. Aggettivo nobilissimo al piano nobile, là dove si scambiano le idee che aiutano a capire noi stessi e il mondo. Sissignori, esiste una cultura materialista. Che qualcuno di noi credenti abbia a volta fatto passare i materialisti per materialoni… : può essergli sembrato utile, a breve, e forse lo è stato davvero, ma sul lungo periodo quella calunnia tutti noi credenti l’abbiamo duramente pagata, in termini di credibilità da parte di coloro con i quali dicevamo di voler dialogare, e dentro di noi in termini di cattiva coscienza: rigurgiti esofagei di chi non ha voluto ben digerire un’idea. Il materialismo è una concezione della vita non condivisibile, ma seria e rispettabile. Nel suo schema interpretativo del mondo la coscienza, i convincimenti che ognuno di noi ha maturato nella propria intimità, non sono la causa, ma la conseguenza, la proiezione della qualità dei rapporti materiali (soprattutto rapporti di lavoro) che viviamo ogni giorno. Su questo la cultura europea dell’Ottocento ha visto un conflitto all’ultimo sangue tra Hegel e il suo ex discepolo Marx. Il conflitto riguardava l’essenza della vita. Viene prima la coscienza o viene prima l’esperienza? La cultura materialista sottolineava con forza questa seconda risposta, fino ad assolutizzarla Falso. Ma anche noi cattolici (attraverso i libri di scuola, i giornali, i dibattiti televisivi,…) abbiamo respirato quel certo clima, determinato da quella certa risposta, e abbiamo aggiornato e arricchito in base ad essa tanti nostri schemi mentali e operativi, dal modo di leggere il vangelo nelle aule solenni dell’Istituto Biblico al modo di fare catechismo all’ombra del campanile. Ed era giusto che fosse così.