La cultura cattolico democratica al Quirinale

Diciamo la verità: sino a quando non è stato eletto Presidente della Repubblica, per la stragrande maggioranza degli italiani Sergio Mattarella era un perfetto sconosciuto. La sua vita politica come parlamentare era durata dal 1983 al 2008, ma neppure nei momenti di maggiore intensità era apparso come un leader né aveva raggiunto la notorietà di un Martinazzoli o di una Rosy Bindi, per fare qualche nome dell’area dei cattolici democratici cui ha sempre appartenuto. Dal 2008, poi, era uscito dalla politica attiva riciclandosi come giurista a tempo pieno, da ultimo come giudice della Corte costituzionale; un incarico, questo, che non dà certo popolarità.

Tuttavia questo vivere nell’ombra è stata la sua carta migliore, perché non ha nemici e nessuno può accusarlo di nulla. Il grande pubblico lo ha immediatamente preso a ben volere, e si capisce: c’era nostalgia di una persona seria, per bene, tranquilla, che non fa furbate, non alza la voce; di uno che prima di parlare pensa e dopo che ha pensato parla solo se ha qualcosa da dire.

Il “teatrino della politica” può divertire il pubblico, qualche volta, ma lo stanca anche. Mattarella continuerà a piacere, anche finito il periodo iniziale, quando si vedrà che, con il suo modo tranquillo, sa fare veramente l’arbitro.

Per noi che leggiamo questo giornale, poi, inutile nasconderlo, Mattarella ha il pregio di essere l’espressione di un mondo che sembrava finito e a quanto pare finito non è: quello di una cultura cattolico-democratica, che risale ai la Pira e ai Dossetti, per continuare con Moro, Zaccagnini, Scoppola e tanti altri. Ci ricorda che non basta inseguire il mutevole estro della cosiddetta opinione pubblica per acquistare facili consensi con le tecniche della pubblicità commerciale.

Accanto al successo di Mattarella, comunque, non si può non vedere il successo di Renzi che ha lanciato a colpo sicuro il candidato giusto, ricompattando un partito che sembrava in disfacimento e gettando invece nello scompiglio tutto il resto dell’orizzonte politico, incapace di proporre candidati alternativi magari perdenti ma almeno credibili.

Pier Giorgio Lignani