Si discute delle misure prese dalla Chiesa italiana per evitare il contagio.
Il priore di Bose, Enzo Bianchi, critica la “virtualizzazione della liturgia”, definendola “morte della liturgia cristiana, che è sempre incontro di corpi e di realtà materiali”. Per poi chiedersi: “Se la Chiesa non sa essere presente alla nascita e alla morte delle persone, come potrà esserlo nella loro vita?”.
La lunga fila di carri funebri in attesa di entrare all’ospedale di Bergamo dà un’immagine tangibile della straordinarietà di quanto sta succedendo. E di quanto conforto religioso avranno cercato, o staranno cercando, prima le vittime del contagio e poi i loro cari. Credo che non soltanto la Chiesa e i suoi vertici stiano ancora tentando di capire, nella temperie che ci coinvolge tutti, come poter essere d’aiuto al proprio popolo.
Un giovane prete lombardo, laureato in Medicina, ha chiesto e ottenuto di poter andare a dare una mano in ospedale. Ci sono corpi da curare.
Forse Papa Francesco, che ha voluto percorrere a piedi, in una Roma deserta, il tratto di strada tra due chiese in via del Corso, ha pensato alle anime e ai cuori. Come quando, dopo il terremoto del 2016, salì ad Amatrice e si fermò a pregare in mezzo alle macerie.
Non sono un teologo, ma ricordo una frase delle sacre Scritture, quella che dice “l’uomo vede l’apparenza, ma il Signore vede il cuore”. Vedrà sicuramente, nostro Signore, quanta angoscia c’è in questo momento nel cuore di ogni persona. E quanto bisogno di averlo vicino.
Ma lo vedono anche i nostri sacerdoti. Che non ci possono stare vicino, ma possono pregare. Per tutti noi.
Daris Giancarlini