Li hanno spesso presentati come contrapposti: uno come il panzekardinal e poi Papa conservatore che vorrebbe riportare indietro le lancette dell’orologio della storia, l’altro come l’eterno “papabile” progressista e profetico cardinale del dialogo. Eppure Joseph Ratzinger, oggi Benedetto XVI, e Carlo Maria Martini, l’arcivescovo emerito di Milano recentemente scomparso, pur provenendo da Paesi, ambienti, formazioni diverse, hanno in comune lo sguardo sulla società secolarizzata e la percezione delle necessità di ripresentare il Vangelo in modo umanamente convincente a chi oggi è nel dubbio o non crede. È quanto ha sostenuto il vaticanista de La Stampa Andrea Tornielli, autore della nuova biografia Carlo Maria Martini. Il profeta del dialogo (Piemme), al dibattito tenuto nella chiesa di San Cristoforo a Terni. Tornielli ha ricordato come Martini, ripercorrendo il filo rosso dei suoi famosi discorsi alla città di Milano, abbia affermato: “Oggi siamo in qualche modo una Chiesa minoritaria, ma se ci collochiamo bene nella società attuale possiamo essere fortemente lievito, fermento, sale, luce… Questa Chiesa si colloca in un complesso pluralistico, democratico, avendo qualcosa da dire di importante, di significativo, di serio, di convincente, di atteso. E lo dice volentieri”. Per Martini la nuova evangelizzazione è “urgente e indilazionabile” e consiste nel “curvarsi su quel ferito che è la nostra società occidentale, con tutte le sue miserie, fatiche e pesantezze, per trovare che cosa fare per essa con amore e umiltà”. Proprio Martini ha ricordato come una delle iniziative che più hanno caratterizzato il suo episcopato milanese, la “Cattedra dei non credenti”, gli sia stata ispirata da Ratzinger.
Alla fine degli anni Sessanta, il futuro cardinale gesuita si trovava in ritiro in una casa nella Selva Nera. “Ebbi tra le mani il testo tedesco della Introduzione al cristianesimo di Joseph Ratzinger… Ricordo il gusto con cui lessi quelle pagine. Mi aiutavano a chiarire le idee, a pacificare il cuore, a uscire dalla confusione. Fu in particolare da quella lettura che ritenni il tema del ‘forse è vero’ con cui si interroga l’incredulo, e che mi guidò poi per realizzare la Cattedra dei non credenti”. Ha aggiunto Tornielli: “C’è chi potrebbe pensare che questa prospettiva di dialogo, questa condivisione della fatica con l’incredulo, così vicina allo stile martiniano, sia lontana anni luce dal Ratzinger di oggi. Ma non è vero”. Il giornalista ha infatti ricordato un passaggio significativo del libro-intervista dell’allora cardinale Ratzinger, Dio e il mondo, uscito nel 2001: “La fede rimane un cammino. Durante tutto il corso della nostra vita rimane un cammino, e perciò la fede è sempre minacciata e in pericolo. Ed è anche salutare che si sottragga in questo modo al rischio di trasformarsi in ideologia manipolabile. Al rischio di indurirci e di renderci incapaci di condividere riflessioni e sofferenze con il fratello che dubita e si interroga. La fede può maturare solo nella misura in cui sopporti e si faccia carico, in ogni fase dell’esistenza, dell’angoscia e della forza dell’incredulità e l’attraversi infine fino a farsi di nuovo percorribile in una nuova epoca”. Alla luce di queste parole si comprende meglio il perché Benedetto XVI abbia voluto dar vita al “Cortile dei Gentili”, iniziativa affidata al Pontificio consiglio della cultura. Nelle encicliche del Papa e nei suoi discorsi è sottolineata più volte l’importanza della fede testimoniata, mettendo in guardia dal ridurla a schema, ideologia o morale.