La scuola italiana dal Papa. Una fiumana multicolore a San Pietro il 10 maggio scorso. Perché tanto interesse della Chiesa, del Papa, per la scuola? Semplicemente perché la Chiesa è scuola essa stessa. È scuola fin dalle sue origini. Gesù non era forse chiamato rabbi, maestro? E i suoi apostoli non erano innanzitutto “discepoli”? La Chiesa nasce come un cammino educativo. Gesù è la “Parola” per eccellenza, da cui l’esistenza viene illuminata, orientata, guarita. Molti dialoghi evangelici hanno proprio il tono della scuola, di una scuola non fatta di libri, di esami e di nozioni: una scuola di vita. Si pensi a quando Gesù racconta parabole, come quella del seminatore che getta il seme su diversi terreni, e si ferma poi con i Dodici – la sua piccola “classe” – ad applicare quelle immagini alla vita. O quando chiede ai discepoli di che cosa stessero parlando, e li sorprende in una delle tentazioni più ricorrenti della nostra vita: stavano discutendo su “chi fosse il più grande”. La sua lezione si fa allora “rivoluzionaria”, rovesciamento di valori: si è grandi quando si è umili e ci si pone al servizio. O come quando, appena risorto, si pone accanto ai due discepoli di Emmaus afflitti per la tragedia che ha portato sulla croce il loro Maestro, e spiega loro, a partire dalle Scritture, che proprio così doveva accadere, ma che l’accaduto non era una pietra tombale, bensì un’esplosione di vita. E rinasce la speranza, anzi, la gioia di vivere.
Dalla “scuola evangelica” in poi, la Chiesa sa che ogni essere umano ha bisogno di una scuola autentica per affrontare la vita. La scuola non può essere un freddo apparato. Non ha solo bisogno di professionalità. Ha bisogno di relazioni calde e vive, in cui è coinvolta tutta la società, a partire dalla famiglia. È la famiglia la prima scuola: una scuola di testimonianza, di affetti, di valori. Sulla famiglia poi si innestano gli altri ambiti sociali, approfondendo, integrando, proponendo un orizzonte più vasto. Mai comunque prevaricando sui diritti/doveri educativi dei genitori e rispettando la persona umana nella sua esigenza di libertà, di maturazione critica, di crescita globale, nella progressiva acquisizione di un rapporto ordinato con tutto il contesto sociale. Una scuola aperta alla realtà, ha detto il Papa. Una scuola dove non si impara tutto, ma si “impara a imparare”. La scuola nasce dal valore stesso della persona umana e delle relazioni che da essa promanano. Non nasce da ideologie costruite a tavolino nella mente di solitari pensatori o di lobby che operano per occupare spazi di dominio. Lo Stato, in forza della sua funzione di sussidiarietà e di solidarietà, istituisce le sue scuole per consentire a tutti un percorso educativo e l’integrazione sociale. È chiamato al tempo stesso a valorizzare e sostenere le scuole che, per la loro qualità valoriale e professionale, sono un frutto legittimo dell’iniziativa sociale di base. Scuole “paritarie”: anch’esse sono scuola pubblica, anche se non statale. Nell’incontro festoso del 10 maggio, Papa Francesco ha voluto rilanciare, per tutta la scuola, il tema dell’educazione. Ha mostrato anche – con il linguaggio dei fatti, senza alcuno spirito di crociata – che le scuole cattoliche non operano come corpi separati, ma facendo propria questa concezione integrale dell’educazione. Un discorso che è un invito a lasciarsi alle spalle gli steccati ideologici. Di fronte a una crisi epocale che non è solo economica ma, prima ancora, antropologica, si chiede a quanti sono maturi e pensosi uno scatto di responsabilità per dismettere l’abito del pregiudizio e riaprire gli spazi di un dialogo da cui tutti abbiamo da guadagnare.