Il brano del vangelo appena letto ricorre altre volte nella liturgia, ma oggi serve di commento alla festa di Tutti i santi descritta con colori simbolici dall’Apocalisse di san Giovanni nella prima lettura. Siamo chiamati ad assistere all’apertura del sesto sigillo del libro che contiene il misterioso piano salvifico di Dio. Protagonista è Gesù, l’Agnello di Dio morto e risorto, l’unico che può spezzare i sigilli del mistero, cioè l’unico che sa rivelare il significato segreto degli eventi progettati da Dio per la storia del mondo. Dietro il sesto sigillo appare la conclusione della storia, con la panoramica grandiosa dei salvati. Essi sono segnati col sigillo divino della croce (il Tau, che è l’ultima lettera dell’alfabeto ebraico e aveva appunto la forma di croce), il segno dell’appartenenza a Dio.
Gli eletti sono proprietà divina, contrassegnati da Dio stesso sulla fronte, nel punto più evidente e nobile del loro corpo. Il numero è simbolico: 144.000 è un multiplo di 12 che è la cifra del popolo di Dio. Risulta dalla triplice moltiplicazione di 12 per 12 e per 1.000, e indica che i salvati sono il popolo Dio al quadrato e allargato fino all’infinito. Per gli ebrei il numero 1.000 era un numero incalcolabile, che solo Dio sapeva contare. Il concetto è ribadito con più chiarezza poco dopo, quando spariscono i numeri e si indica una folla di persone immensa, che nessuno poteva calcolare: era composta di gente “di ogni nazione, tribù, popolo e lingua”. Essi stanno a dire che Dio vuole tutti salvi (1 Tim 2,4); nel suo progetto tutti sono candidati alla salvezza definitiva, senza nessuna esclusione preventiva.
Questa folla di santi è fotografata durante una grandiosa liturgia celeste: i salvati indossano vesti candide perché lavate nel sangue dell’Agnello e riflettono il colore del Dio della luce in cui non c’è ombra di sorta. Stanno in piedi davanti al trono di Dio e dell’Agnello, come sacerdoti del Dio Altissimo, e celebrano con dignità e gioia la “eucaristia”, cioè il ringraziamento festoso per la felicità finalmente raggiunta. Portano in mano delle palme, segno di festa e di vittoria: hanno vinto la loro battaglia contro il demonio e il male del mondo, reduci dalla grande tribolazione della vita. Hanno seguito Cristo portando con lui la loro croce quotidiana (Lc 9,23), ora godono la vita stessa di Dio.
Sono proprio gli uomini descritti dalle beatitudini che abbiamo ascoltato: hanno sperimentato la loro povertà umana fino a sentire il bisogno acuto di Dio, hanno provato la sofferenza che li ha fatti piangere con amarezza, hanno conquistato la mitezza generata dalla pazienza, hanno sperimentato la fame e la sete di giustizia, hanno conquistato la dote della misericordia che li ha resi compassionevoli verso tutti, hanno provato quella purezza di cuore che ha fatto loro aborrire il peccato, hanno subito la persecuzione di un mondo ostile. Le beatitudini sono stampate nel loro cuore come il segno di Dio sulla loro fronte.
È bello poter contemplare questi fratelli giunti prima di noi nella casa del Padre. Non sono diversi da noi, perché hanno vissuto le nostra stessa fatica del vivere da cristiani, le nostre difficoltà umane di lavoro e di fatica, hanno patito i nostri dolori e le nostre malattie, hanno goduto le nostre stesse gioie quotidiane. Le beatitudini sono la strada di tutti, in salita, per arrivare alla salvezza, quella che porta i credenti alla gioia senza fine del regno di Dio nel cielo. Sono “la porta stretta e la via angusta” (Mt 7,14), perché operano un capovolgimento di mentalità e di valori umani. Marciano contromano nel tumultuoso traffico di idee del mondo, vanno al rovescio da come va il mondo, che stima beati i ricchi e tutti coloro che rincorrono il benessere e il guadagno, quelli che non hanno problemi di salute, i prepotenti che si fanno valere, le persone corrotte e disoneste che calpestano la giustizia, coloro che cercano il loro successo individuale a scapito di chi vive onestamente.
I credenti descritti nelle beatitudini invece seguono Gesù senza tener conto di questa segnaletica stradale sballata, posta artificiosamente sulle vie del mondo dagli uomini che ignorano Dio e il vangelo, e tuttavia pretendono di indicare la vera direzione della vita. I credenti sanno che il primo a vivere le beatitudini è stato lo stesso Gesù, perciò è l’unico autorizzato a farci da guida: egli è partito dalla povertà di Betlemme fino ad arrivare alla sofferenza della croce passando per le otto tappe da lui descritte nel brano del vangelo. Solo così ha sfondato la porta della morte per entrare nella beatitudine eterna del cielo con la sua risurrezione. Ci ha tracciato la via giusta, percorsa da lui prima di noi e davanti a noi. Prima di descrivercela l’ha vissuta nella sua carne, ce l’ha indicata dopo averla interamente percorsa.
La prima beatitudine è quella della povertà, la beatitudine di chi si sente e si fa piccolo davanti a Dio, perché bisognoso e in debito di tutto ciò che ha dalla vita; la beatitudine di chi è distaccato dal denaro e dai beni perché non ne fa lo scopo principale del suo vivere, di chi usa il denaro per aiutare il fratello nel bisogno, diventando così strumento attivo della Provvidenza divina. È l’antidoto contro il male più terribile di questo mondo, la corruzione dovuta alla rincorsa al denaro. Come sarebbe diverso il mondo senza questa terribile fame di guadagno che uccide! La beatitudine del pianto è quella che insegna a condividere i dolori e le angosce che ci circondano, quella che ci rende umani in un modo egoista e crudele.
È anche la beatitudine che ci insegna piangere i nostri peccati e a sopportare con amore le nostre malattie. La beatitudine della mitezza ci invita a trattare tutti con comprensione e tolleranza, rinunciando alla violenza e alla vendetta (Mt 5,38-42). La beatitudine della fame e della sete di giustizia è quella di coloro che cercano la volontà di Dio; essa esige giustizia e lealtà con lui e con i fratelli. Affine ad essa è la beatitudine dei misericordiosi, che, ad imitazione di Dio, sanno compatire e perdonare che sbaglia. Essa diventa condizione indispensabile, nella preghiera del Padre nostro per ottenere misericordia da Dio stesso (Mt 6,14-15).
La beatitudine dei puri di cuore è quella dell’onestà e della rettitudine morale senza ipocrisie. La beatitudine dei costruttori di pace è quella di chi lavora fattivamente per la concordia e la pace nella famiglia, e nella società. La beatitudine della persecuzione è quella dei martiri; invita ad affrontare con coraggio ogni contrasto suscitato dal proprio impegno di fede. La fede ha un prezzo che bisogna pagare con la testimonianza coraggiosa fino al martirio. I santi ci insegnano e ci guidano perché sono uomini e donne come noi che hanno vissuto nella storia questi valori. Evitiamo di considerarli come una specie di extraterrestri.