“Nel momento del dolore e della malattia noi non siamo soli”. Attorno a questo concetto Papa Francesco ha sviluppato l’udienza generale di mercoledì in piazza San Pietro.
Davanti a circa 50 mila persone, il Papa ha incentrato la sua catechesi sul sacramento dell’unzione degli infermi (testo integrale su www.vatican.va), “che ci permette di toccare con mano la compassione di Dio per l’uomo. In passato veniva chiamato ‘estrema unzione’, perché era inteso come conforto spirituale nell’imminenza della morte. Parlare invece di unzione degli infermi ci aiuta ad allargare lo sguardo all’esperienza della malattia e della sofferenza, nell’orizzonte della misericordia di Dio”.
“C’è un’icona biblica – ha aggiunto – che esprime in tutta la sua profondità il mistero che traspare nell’unzione degli infermi: è la parabola del buon samaritano (Lc 10,30-35). Ogni volta che celebriamo tale sacramento, il Signore Gesù, nella persona del sacerdote, si fa vicino a chi soffre ed è gravemente malato, o anziano. Dice la parabola che il buon samaritano si prende cura dell’uomo sofferente versando sulle sue ferite olio e vino. L’olio ci fa pensare a quello che viene benedetto dal vescovo ogni anno nella messa crismale del Giovedì santo, proprio in vista dell’unzione degli infermi. Il vino, invece, è segno dell’amore e della grazia di Cristo…”
“Infine, la persona sofferente viene affidata a un albergatore affinché possa continuare a prendersi cura di lei, senza badare a spese. Ora, chi è questo albergatore? È la Chiesa, la comunità cristiana, siamo noi, ai quali ogni giorno il Signore Gesù affida coloro che sono afflitti, nel corpo e nello spirito, perché possiamo continuare a riversare su di loro, senza misura, tutta la sua misericordia e la sua salvezza”.
“Si tratta quindi di una prassi che era in atto già ai tempi degli apostoli. Gesù infatti ha insegnato ai suoi discepoli ad avere la sua stessa predilezione per i malati e per i sofferenti, e ha trasmesso loro la capacità e il compito di continuare a elargire, nel suo nome e secondo il suo cuore, sollievo e pace, attraverso la grazia speciale di tale sacramento. Questo però non ci deve fare scadere nella ricerca ossessiva del miracolo o nella presunzione di poter ottenere sempre e comunque la guarigione. Ma è la sicurezza della vicinanza di Gesù al malato, anche all’anziano, perché ogni anziano, ogni persona di oltre 65 anni può ricevere questo sacramento: è Gesù che si avvicina”.
“Quando si pensa: ‘Chiamiamo il sacerdote perché venga’. ‘No, no, poi porta sfortuna…’ o ‘poi si spaventerà l’ammalato’… Perché? Perché c’è un po’ l’idea che, quando c’è un ammalato e viene il sacerdote, dopo di lui arrivano le pompe funebri, e questo non è vero! Il sacerdote viene per aiutare il malato o l’anziano. Per questo è tanto importante la visita dei sacerdoti ai malati. Chiamarlo: ‘C’è un malato. Venga, gli dia l’unzione, lo benedica’, perché è Gesù che arriva per sollevarlo, per dargli forza, per dargli speranza, per aiutarlo, anche per perdonargli i peccati. E questo è bellissimo!”.
“E non pensiate che questo sia un tabù, perché è sempre bello sapere che nel momento del dolore e della malattia noi non siamo soli: il sacerdote e coloro che sono presenti durante l’unzione degli infermi rappresentano infatti tutta la comunità cristiana che, come un unico Corpo, con Gesù, si stringe attorno a chi soffre e ai familiari, alimentando in essi la fede e la speranza, e sostenendoli con la preghiera e il calore fraterno. Ma il conforto più grande deriva dal fatto che a rendersi presente nel sacramento è lo stesso Signore Gesù, che ci prende per mano, ci accarezza come faceva con i malati, Lui; e ci ricorda che ormai gli apparteniamo, e che nulla, neppure il male e la morte, potrà mai separarci da Lui”.