Osservando il panorama politico-sociale del momento, sulla spinta del messaggio ispirato a fiducia e moderato ottimismo del presidente Napolitano per la festa della Repubblica, ci sembra giusto dare anche noi qualche segnale positivo e di incoraggiamento, dando voce a quanto di buono avviene vicino a noi e spesso rimane sconosciuto. Il male in genere fa più rumore e si fa maggiormente notare del bene.
Come i lettori attenti avranno notato, da qualche tempo dedichiamo servizi a fatti, persone e iniziative positive che avvengono nel nostro territorio. In questo numero c’è un servizio sull’istituto “Don Guanella”; prima abbiamo scritto degli Alcolisti anonimi e del bar di Perugia che ha tolto slot machine. Anzi, se vi sono fatti o realtà sociali che meritano di essere conosciute, potete segnalarle.
In quest’ottica, vorrei porre l’attenzione sull’imprevisto straordinario evento di due nostri preti, nel giro di una settimana, nominati vescovi: Paolo Giulietti di Perugia e Nazzareno Marconi di Città di Castello (vedi pagg. 10-11); senza dimenticare il prossimo arrivo di padre Piemontese come vescovo di Terni, che sarà il primo ad essere consacrato e ad entrare nel pieno delle sue funzioni pastorali il prossimo 21 giugno a cui va tutto il nostro affettuoso augurio.
Tornando ai due umbri mi pare che si possa dire che la nostra regione non deve essere considerata priva di risorse spirituali e culturali, se può esprimere due persone ritenute nella loro piena maturità umana, capaci e degne di rappresentare e guidare la comunità cristiana – perugina o maceratese, poco importa – al massimo livello di responsabilità. Una persona non si forma da sola e non è un’isola o un fungo solitario ma, in misura più o meno decisiva, è il risultato di una comunità, di un ambiente, di uno stile di vita, di una mentalità. Se andiamo a vedere in dettaglio la storia dei due nuovi Vescovi troviamo persone, avvenimenti e perfino avventure che, magari, pochi conoscono, ma che hanno modellato la loro personalità.
Non si può negare che quando una comunità esprime un vescovo, – ciò vale anche per una vocazione di speciale consacrazione religosa – la comunità respira e si sente viva. Al contrario, si sente mortificata se, come è accaduto in tempi passati, il vescovo era una persona sconosciuta, veniva da lontano e talvolta si portava dietro anche il segretario o il vicario.
È chiaro che la Chiesa, pur essendo legata al territorio, non ha vincoli localistici, avendo per sua natura e per dato storico una dimensione universale. Per tale ragione è in grado di realizzare uno scambio di energie e di risorse materiali, spirituali e umane, operando un reclutamento – si direbbe in gergo manageriale della sua classe dirigente – dei suoi “servi” destinati all’esercizio dell’episcopato secondo un discernimento non sindacabile.
La storia della Chiesa in generale, e l’esperienza dei rapporti delle nostre popolazioni con i loro Pastori, sono una testimonianza della cattolicità della Chiesa secondo un intimo sensus fidei che non manca nella mentalità dei fedeli. La Chiesa, nella sua più che millenaria tradizione, ha coniugato “locale” e “globale”, Chiesa territoriale e Chiesa universale. Con una brutta parola moderna, si direbbe che nessuna realtà sociale è più “glocale” della Chiesa. L’idea è stata anche teorizzata nella Lettera a Diogneto, dove si dice che per i cristiani “ogni terra è loro patria e ogni patria è per loro terra straniera”.
Il card. Bassetti – nell’annunciare la nomina di Giulietti – ha fatto notare che, con l’episcopato, si entra a far parte del Collegio dei vescovi che, unito a Pietro (che oggi si chiama Francesco), ha avuto da Cristo il mandato di guidare la Chiesa intera sparsa nel mondo. A Paolo e Nazzareno, con simpatia, La Voce, cui da molto tempo e in varia misura sono particolarmente legati, insieme a tutti i suoi lettori, augura un’ampia benedizione da parte di Dio e del loro popolo.