Comincia l’anno scolastico. Con l’ormai abituale “campanella differenziata” a seconda delle Regioni, effetto dell’autonomia. Chi prima, chi dopo, però, saranno circa 8 milioni i bambini/ragazzi che infileranno la cartella sulle spalle per tornare nelle aule, dove incontreranno i loro insegnanti, adulti dedicati per un compito difficile e appassionante: trasmettere conoscenze, promuovere apprendimenti, atteggiamenti, relazioni significative, passioni… Se pensando al primo giorno di scuola viene immediato immaginarsi gli allievi – e magari quanti entrano per la prima volta in un’aula scolastica, i più piccoli – un pensiero importante va anche, subito, agli insegnanti. Ce n’è di tutti i tipi, intendiamoci. Ma nella gran parte di loro si può incontrare una forte passione che motiva il lavoro quotidiano. Un lavoro peraltro esposto alle “intemperie” di una scuola sempre in ristrettezze economiche, sulla quale non di rado si taglia invece che investire; nella quale si riversano inevitabilmente le contraddizioni e le esigenze di una società in forte trasformazione come quella di oggi, dove i riferimenti sono sempre più labili, a cominciare – inutile nascondercelo – da quelli familiari. Una società che propone immagini e modelli che in qualche modo confliggono con quanto può e dovrebbe proporre la scuola, luogo di apprendimento faticoso – sia pure nell’entusiasmo e nella bellezza di questa fatica – di costruzione paziente di relazioni, di amicizie e di complicità che si fanno, nelle aule, condivisione di percorsi, alleanze e “cordate” per raggiungere obiettivi comuni. Aule dove si impara a convivere tra il più forte e il più debole, dove si sperimentano anche tensioni e prepotenze, ingiustizie, perché no? Insieme però alla possibilità di ricollocare queste esperienze in un orizzonte di significato e di costruzione complessiva delle personalità. In un cammino educativo. Poco, questo, ha da spartire con i messaggi fulminanti delle televisioni, dei mass media in generale, dei modelli di successo proposti in generale tutti i giorni a quegli stessi bambini e ragazzi e più ancora ai loro genitori. Gli insegnanti hanno davvero un compito gravoso. Ricompensato peraltro da scarsa considerazione sociale e stipendi non all’altezza. C’è da augurarsi che le riforme in atto, tra rigore e serietà, riescano anche nell’impresa di restituire qualcosa di più in cambio della qualità dell’insegnamento. Sulle riforme, poco da dire. Stanno entrando a regime alcune modifiche volute dal ministro Gelmini. Vedremo quest’anno i primi effetti del “maestro prevalente”, delle “rivoluzioni” su voti ed esami. Serietà, attenzione alla verifica dei risultati, eliminazione di inutili sprechi: sono cose che possono fare bene alla scuola di tutti. E se risparmi ci saranno, vorremmo vederli reinvestiti per migliorare ancora, magari anche per rendere effettivo e pienamente accessibile il sistema scolastico pubblico – paritarie comprese – risorsa imprescindibile per un Paese che guardi davvero al futuro.
La (bella) fatica di insegnare
AUTORE:
Alberto Campoleoni