Ius sanguinis, il modo sbagliato di fare l’Italia

di Andrea Casavecchia

Dopo un periodo di flessione, la presenza di cittadini stranieri nel nostro Paese è ripresa a crescere. Siamo tornati intorno ai 6 milioni di presenze e circa il 60 per cento di loro proviene da Paesi esterni all’Unione europea, come indica il 28° Rapporto sulle migrazioni a cura dell’Ismu (Fondazione iniziative e studi sulla multietnicità). È stata superata un’altra volta l’asticella del 10 per cento sul totale della popolazione residente. Il contributo maggiore alla crescita attuale è stato offerto dagli immigrati regolari non ancora residenti, quelli che – come spiega il Rapporto – non sono ancora registrati all’Anagrafe e hanno quindi un permesso temporaneo. Un contributo più contenuto è offerto dai cittadini stranieri residenti, mentre il gruppo che contrae la sua presenza è quello degli immigrati irregolari.

La crescita è dovuta essenzialmente all’aumento del numero di ingressi per ragioni di lavoro (i permessi sono stati oltre 242 mila). Invece solo il 12,8 per cento dei nuovi ingressi è dovuto a motivi di asilo e altre forme di protezione. Però la composizione della popolazione italiana è sempre più variegata anche per altri motivi. Nonostante tutti gli ostacoli che vengono creati per aggiornare la datata legge sulla cittadinanza, scritta con logiche che permettevano di conservare le origini italiane ai migranti che raggiungevano le varie parti del mondo, inizia a essere consistente anche il numero delle acquisizioni di cittadinanza: oltre 121 mila persone sono diventate italiane. Il 41 per cento delle acquisizioni ha seguito l’iter più lungo (che richiede 10 anni di residenza ininterrotta in Italia). Un altro 11,9 per cento è dovuto ai matrimoni con cittadini italiani, mentre il rimanente 47 per cento è soprattutto da attribuire alla trasmissione ai figli della cittadinanza del diritto acquisito dai genitori.

Le stime dei ricercatori valutano che oggi in Italia risiedano quasi un milione e mezzo di nuovi italiani. I numeri del Rapporto mostrano che le vite dei cittadini italiani si intrecciano nel mondo del lavoro, nel quale si contano oltre 2 milioni di occupati: l’11,2 per cento del totale dei lavoratori in Italia. I loro figli frequentano le scuole; lì gli studenti con una cittadinanza diversa da quella italiana rappresentano il 10,3 per cento. Secondo poi i dati Istat, circa un matrimonio su dieci celebrato nel 2021 vedeva la presenza di almeno un coniuge non italiano. Tutti questi indicatori, che ci fanno vedere la vitalità interculturale in Italia, mostrano come la cittadinanza fondata ancora sullo ius sanguinis stia diventando un inconsistente confine, che finisce per bloccare parte delle vite di alcune persone, invece di integrare la diversità presente nel Paese.

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