Iraq Si volta pagina

Meno male, è finita. Questa è stata la prima sensazione. Poi un dubbio: sarà veramente la fine della guerra, del terrorismo, della violenza? .Intanto l’abbattimento della statua di un dittatore è sempre uno spettacolo suggestivo e un segno forte nella storia. La caduta degli dei, degli idoli. Quella che abbiamo visto pochi minuti fa, mentre scrivo, fa ricordare la caduta degli idoli rossi, Ceaucescu, Stalin e l’abbattimento collettivo del muro di Berlino. Saddam Hussein è caduto, abbasso Saddam Hussein. E’ evidente che in tutto il mondo in questi momenti si provino emozioni e sentimenti forti, diversificati profondamente tra loro, che vanno dal trionfalismo di chi era schierato dalla parte della legittimità e opportunità della guerra preventiva, all’avvilimento di coloro che considerano questa vittoria degli anglo americani come il trionfo della logica della guerra come lo strumento classico più efficace per risolvere le contese tra le nazioni e lavare le offese ricevute. .Alcuni ritengono (non il Papa) che la guerra sia lecita anche per imporre la democrazia e abbattere preventivamente i governi considerati pericolosi. Le opinioni politiche e le convinzioni etiche entrano prepotentemente nella valutazione dei fatti legati a questa dolorosa vicenda che ha provocato vittime innocenti e sofferenze. E’ bene pertanto che sia terminata in tempi relativamente rapidi, sperando sempre che non vi siano strascichi ed estreme resistenze. Ed è anche positivo che il regime tirannico del sanguinario Saddam Hussein sia stato abbattuto. .Una pagina di storia si è chiusa. In essa ci sono scritte alcune certezze e molte domande. E’ certo che la potenza degli Usa e del suo alleato britannico non è in discussione, non solo per la struttura militare, ma anche per la determinazione e la volontà di dominio. Questa volontà e determinazione si scontrano con interessi e punti di vista di altre nazioni e schieramenti politici fino a provocare tensioni e spaccature, e una diffusa dose di antiamericanismo, anche perché non si è in grado di sapere se gli americani si porranno dei limiti riconoscendo le ragioni degli altri. Sembra certo anche che la popolazione sottomessa ai regimi dittatoriali nei paesi islamici, impaurita e quindi allineata finché il dittatore impera, non è affatto aliena dal desiderare libertà e emancipazione pur conservando i legami con la propria identità nazionale, culturale e religiosa. .Ci sono però anche molte domande sul futuro politico dell’Iraq, sulla ricostruzione, sul ruolo dell’Onu, sulle relazioni degli Stati europei. Domande cui nessuno attualmente è in grado di dare risposte sicure. Quello che ci interessa e che in qualche misura ci sembra sia risultato chiaro è che non si è fatta una guerra ad un popolo, ma a un dittatore e al un regime ed inoltre che questa guerra non sia stata una crociata cristiana e neppure occidentale contro l’islam e contro l’Oriente o comunque contro il mondo sottosviluppato. Insomma non uno scontro di civiltà. Rimane da dire, peraltro che pur ammettendo che i rischi corsi siano stati limitati e che alcuni risultati possono essere positivi per il popolo iracheno, la condanna della guerra come sistema di risoluzione di problemi politici resta in tutta la sua integra validità. La nostra posizione non si discosta dal grande insegnamento di Giovanni Paolo II, che non è profeta isolato. La sua voce in questi giorni si unisce a quella di Giovanni XXIII che proprio quaranta anni fa (11 aprile 1963), proponeva al mondo in modo suadente e credibile, la via della pace con la Pacem in terris. Dimenticare questo insegnamento da parte di uomini liberi, consapevoli e responsabili, anche in un momento di vittoria militare, sarebbe la peggiore sconfitta.

AUTORE: Elio Bromuri