Io sono il buon pastore

“La pietra scartata dai costruttori è divenuta la pietra d’angolo”: così prega la Comunità dell’Israele biblico con questo Salmo 117 che è anche il Salmo che conclude l’ Hallel cioè l’insieme degli “inni” che ancora oggi si recitano nel Rito pasquale (Seder). A questo versetto si ispira san Pietro che, anche nella I Lettura di questa IV domenica di Pasqua, continua ad essere presentato quale coraggioso annunciatore della risurrezione di Cristo.

Proprio per questo motivo, i sadducei avversari inflessibili della dottrina della risurrezione – hanno fatto arrestare Pietro e Giovanni che vengono chiamati a rendere conto del loro insegnamento.

Davanti ai “capi del popolo e (agli) anziani”, ovvero davanti al supremo tribunale d’Israele (vv. 5-6), Pietro “colmato di Spirito santo” interpreta e attualizza il Salmo 117: “Questo Gesù è la pietra, che è stata scartata da voi, costruttori, e che è diventata la pietra d’angolo”. Pietro sta mettendo in risalto che, seppur esperti di Sacra scrittura, essi non hanno “ricordato” e “osservato” la Parola e, non solo non replicano nulla, ma lo lasciano continuare cosicché Pietro addita ancora Cristo perché “in nessun altro c’è salvezza”. E chi attende solo da Cristo la salvezza arriverà a somigliare a Lui stesso perché nella riflessione che fa l’Autore Giovanni nella sua I Lettera, parlando al plurale, presagisce che “quando egli si sarà manifestato, noi saremo simili a lui, perché lo vedremo così come egli è”. Allora la pagina del Vangelo secondo Giovanni indica i parametri in base ai quali identificare colui che viene nel nome di Cristo per elargire la Sua salvezza. È la nota pericope del “Buon Pastore”.

Contestualizziamo. Nella cultura del Vicino Oriente Antico – come auspicio di un buon governo – il re veniva rappresentato con l’immagine del pastore incaricato dalle divinità a pascere le pecore. Il motivo si ritrova nell’Antico Testamento ad esempio nel Salmo 23 dove il Signore è identificato con il “pastore” che segue sempre le sue pecorelle “anche nella valle oscura”, ma soprattutto nel libro di Ezechiele dove il profeta denuncia la disonestà dei pastori e per questo il Signore, come un pastore premuroso, raduna Lui stesso le pecore, conducendole al pascolo, facendole riposare, fasciando le loro ferite e curandole. I criteri quindi per discernere il Pastore secondo il cuore di Gesù, sono tre. Intanto il pastore “dà la propria vita per le pecore” quindi per esse rischia tutto, non le abbandona vigliaccamente di fronte all’incombere dei pericoli e non le fa disperdere. Il secondo criterio poi è quello della “conoscenza”: il pastore conosce le pecore ed esse conoscono lui.

C’è un rapporto alla pari: si conoscono reciprocamente. Il primo passo è del pastore che conosce le pecore e il secondo è delle pecore che conoscono il pastore per cui si appartengono, sono “mie” dice Gesù. Il verbo greco neotestamentario “conoscere” (ginosko) traduce l’omonimo verbo dell’ebraico biblico (yadah) usato per esprimere la relazione amorosa coniugale.

L’appartenenza pastore / pecore è perciò caratterizzato dal reciproco legame affettivo, non è un fatto di formalità, ma c’è un coinvolgimento interiore. Tuttavia, Gesù approfondisce la questione perché parla di una relazione all’interno di un’altra relazione. Identificandosi con il “buon pastore”, Gesù afferma che la conoscenza delle sue pecore rientra nella relazione di conoscenza che il Padre ha con Lui e viceversa (“come il Padre conosce me e io conosco il Padre”). Il vero Pastore è colui che mantiene viva la sua relazione con Dio e solo a partire dalla conoscenza che ha di Lui può dire di conoscere i fedeli che gli sono affidati ed essere in grado – riprendendo il primo aspetto – di offrire la propria vita per loro.

Il “mercenario” è colui che non ha una relazione con Dio, non ama le pecore e all’arrivo del lupo le “lascia” (afiemi); il “pastore” invece trova nel legame con Dio la forza e offre, letteralmente “pone” (tithemi) la sua vita nelle mani dei nemici a vantaggio delle pecore perché le ama. Gesù sta certamente preparando i pastori della comunità cristiana nascente a farsi carico del destino dei credenti che di lì a poco avrebbero conosciuto le persecuzioni (pensiamo al ruolo che anche oggi i pastori svolgono in difesa dei credenti in quelle zone caratterizzate dall’odio verso i cristiani). Continuando il discorso Gesù evidenzia un terzo aspetto che è quello dell’unità perché le pecore “saranno un solo gregge”. Lo ascolteremo di nuovo nel Vangelo di Giovanni ed è presente nei testi pasquali il fatto che Gesù desidera che il Vangelo sia annunciato a tutti. Gesù ha anche “altre pecore che non sono di questo ovile”, che non sono cioè della comunità israelitica ed Egli intende far pervenire l’annuncio della salvezza anche ad esse. Il presente discorso Gesù lo tiene in continuità con delle risposte che sta dando ai farisei e forse anche ad essi, come ai Suoi che per lo più derivano dal giudaismo (e che sappiamo con quanta fatica decideranno di aprirsi ai pagani) sta riferendo l’universalità del messaggio salvifico. Considerando che – in base al proprio ruolo nella Chiesa – ognuno di noi è “pastore”, assecondiamo il desiderio di Gesù di far pervenire il messaggio evangelico anche a chi identifichiamo con “lontano”?

LA PAROLA della Domenica

PRIMA LETTURA
Atti degli apostoli 4,,8-12

SALMO RESPONSORIALE
Salmo 117

SECONDA LETTURA
Dalla I Lettera di Giovanni 3,1-2

VANGELO
Dal Vangelo di Giovanni 10,11-18

 

AUTORE: Giuseppina Bruscolotti