“Uomini di Galilea perché state a guardare il cielo?”. La domanda dei due uomini in bianche vesti sorprende gli apostoli oppressi da un senso di vuoto, sospesi tra nostalgia del passato e sconforto del presente. Il cielo che guardano non è quello di Dio, ma il proprio piccolo futuro, il proprio piccolo cielo. È un cielo chiuso e perciò inevitabilmente vuoto: da esso non proviene la voce di Dio, non vi si vedono né gli angeli salire e scendere, né il figlio dell’Uomo. Eppure i discepoli insistono nel fissare questo cielo.E’ così anche per noi quando restiamo fissi a guardare solo il nostro orizzonte, le nostre prospettive, i nostri progetti.
Oggi, la parola di Dio ci distoglie da un modo falsamente religioso di guardare al cielo e ci invita, ancora una volta, a fissare il nostro sguardo su Gesù. Il cielo nel quale egli è asceso non è più chiuso e non è più vuoto, diventa il luogo da cui aspettarci qualcosa, il ritorno “un giorno” di Gesù “allo stesso modo in cui lo avete visto andare in cielo”. Egli, infatti, si è “sottratto al loro sguardo” e tuttavia è vivo. Se non è più in mezzo a noi non è perché si è dissolto; al contrario, la sua presenza si è diffusa in tutto il mondo, appunto, come il cielo avvolge la terra. E’ questo il senso dell’Ascensione.
Gesù più che allontanarsi dal mondo, si è sottratto ad un modo limitato di essere tra gli uomini. Si è sottratto al nostro possesso, che è il motivo per cui il cielo ci appare vuoto e non riusciamo più a vederlo. Si possono alzare gli occhi come gli apostoli senza vedere nulla, perché si vede soltanto quel che si vuole vedere: tante conferme ai sentimenti tristi che sono dentro il cuore di ognuno.
Il messaggio di questa Ascensione è un altro. È l’invito a seguire Gesù che si fa presente in tutto il mondo, è l’invito a superare i nostri “campanili” e a dilatare le nostre prospettive sino agli estremi confini della terra. È facile cadere nella tentazione dell’autoreferenzialità, ossia fissarci su di noi e sulle nostre cose, fossero anche religiose. Il cielo, in questo caso, coincide con quel che vogliamo vedere. Altro è l’invito che il Vangelo dell’Ascensione ci rivolge. Gesù, prima di lasciare i discepoli, li invia nel mondo intero perché annuncino a tutte le nazioni il Vangelo. In tal senso i discepoli debbono alzare lo sguardo da se stessi e dalle rispettive parrocchie per vedere i cieli pieni della moltitudine delle nazioni. Gesù è asceso in questo cielo, un cielo pieno di popoli per raccoglierli tutti e renderli partecipi della grande famiglia di Dio.
Potremmo dire che dopo Gesù anche noi dobbiamo ascendere (andare) verso questo cielo per far conoscere e amare il Signore a tutti i popoli della terra. Gesù assicura che non saremo soli in questo arduo e affascinante compito. Egli anche a noi dice: “Io sono con voi tutti i giorni, sino alla fine del mondo”. L’ascensione, mentre apre ai nostri occhi l’orizzonte della missione universale affidata alla Chiesa e ad ogni singolo discepolo, ci assicura altresì la compagnia di Gesù che, ancora una volta, è il pastore che sta avanti e guida i suoi discepoli.Sentiamo rivolto anche a noi l’augurio dell’apostolo Paolo agli Efesini: “Possa (Dio) illuminare gli occhi della vostra mente per farvi comprendere a quale speranza vi ha chiamati, quale tesoro di gloria racchiude la sua eredità”.