Intervento alla Marica della Pace – 26 agosto 2006

Sono lieto di portarvi il saluto non soltanto di questa Chiesa di Assisi, ma anche di tutte le Chiese umbre. Ci riempie di conforto e ci carica di responsabilità il fatto che una manifestazione civile così imponente abbia ancora una volta scelto Assisi come luogo – simbolo per gridare la voglia di pace che accomuna tanti esseri umani delle più diverse collocazioni. Nei giorni scorsi abbiamo avuto sotto gli occhi, nel Medio Oriente, l’ennesimo spettacolo di distruzione, morte e dolore. Quello che la guerra produce sempre. Abbiamo sentito il senso frustrante dell’impotenza. La risoluzione 1701 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, pur tardiva, e l’impegno, pur lento, della comunità internazionale almeno per la cessazione delle ostilità, ci danno un minimo di respiro e un filo di speranza. Ma saremmo ingenui a non avvertire quanto cammino resti da fare, perché siano poste le premesse solide di una pace, basata sul riconoscimento del diritto di tre popoli – israeliani, palestinesi, libanesi -, a convivere entro confini accettati e in rapporto di rispetto e di accoglienza reciproca. Purtroppo, ogni episodio di guerra non fa che aggravare anche l’odio, il sospetto, la diffidenza, tra le parti. Fino a che gli animi sono inaspriti e il volto dell’altro appare quello di un nemico, possono tacere anche le bombe ma il conflitto è sempre potenzialmente sul punto di riesplodere. E’ grave che i semi del conflitto vengano trasmessi alle nuove generazioni, e che esso si allarghi ad altri popoli, a seconda che simpatizzino per l’uno o l’altro dei contendenti. Nell’intricata situazione del conflitto in Medio Oriente è difficile orientarsi in un giudizio di colpevolezza. Non per ragioni di comoda neutralità, ma per il rispetto che si deve al dramma di questi popoli, ciascuno dei quali sta pagando altissimi prezzi di sangue, dobbiamo supporre che il desiderio di pace sia anche in loro, direi soprattutto in loro. A noi è chiesto innanzitutto l’umiltà di non impancarci a giudici, ma di essere loro vicini nella comprensione el loro dolore, nel rispetto dei loro morti, nella vicinanza alle loro angosce, nella solidarietà verso quanti sono impegnati nella ricostruzione. Al tempo stesso, ci è chiesto di pretendere dalla politica che siano fino in fondo percorse le vie della legalità internazionale per fermare la spirale di violenza e sostenere il dialogo fino a conclusioni di vera giustizia. Se però oggi siamo qui a fare questi discorsi ad Assisi, al di fuori delle camere istituzionali, in un luogo dell’anima, è segno che tutti intuiamo che al di là dei percorsi politici, pur necessari, c’è un’altra dimensione della pace, che è assolutamente basilare. Siamo a respirare quello ‘spirito di Assisi’, caratterizzato dal fatto che qui Francesco, calcando pienamente le orme di Cristo e per amore di Cristo, scelse di farsi povero, fratello universale, costruttore di pace. Vent’anni fa, Giovanni Paolo II, riunendo qui gli esponenti delle varie religioni del mondo, ricordò a tutti quello che anche Benedetto XVI in questi giorni ha ribadito con forza: il valore della preghiera. L’autentica preghiera, come l’autentica religione, non portano alle guerre, ma alla pace. Una guerra in nome della fede è innanzitutto una sconfitta della fede. Lo ‘spirito di Assisi’ ricorda anche che il cammino della pace passa attraverso la conversione del cuore, nella direzione di un modo di guardarsi ed accogliersi che non ci divida più in amici e nemici, ma ci faccia sentire tutti fratelli. Che anche questo nostro ritrovarci qui ad Assisi faccia rimbalzare nel mondo, fino ai fratelli del medio oriente, l’augurio ‘ preghiera di Francesco: ‘Il Signore vi dia pace’.

AUTORE: + Domenico Sorrentino