Il brano evangelico di questa domenica riporta espressioni pronunciate da Gesù in varie occasioni e qui raccolte per fornire indicazioni sulla qualità del proprio essere discepoli nella dimensione comunitaria. Il tema del primo avvertimento – il tono generale del testo vuole spiccatamente mettere in guardia da alcuni “eccessi” – viene usato anche nella prima lettura per quanto avvenuto al popolo uscito dall’Egitto in cammino verso la Terra promessa.
Pensiamo per un momento alle nostre comunità parrocchiali o religiose, ai nostri gruppi, associazioni e movimenti: quando ci si struttura e ci si organizza, si vuole crescere, camminare lungo un itinerario di maturazione. Questo cammino, né facile né immediato, richiede tempo, ascolto, conoscenza e stima reciproche, capacità di valorizzazione delle caratteristiche di ogni persona, accoglienza e sopportazione delle inevitabili fragilità, soprattutto il “miracolo” di riuscire ad armonizzare, con impiego notevole di energie, tutte le componenti della comunità stessa.
Il detto ripreso da Gesù: “Chi non è contro di noi è per noi” sottolinea lo spirito di apertura e di accoglienza della risposta di Gesù nei confronti dell’atteggiamento precedente dei discepoli. Non dobbiamo leggere queste parole di Gesù nella forma contraria dell’altro detto: “Chi non è con me è contro di me” (Mt 12,30; Lc 11,23) e così farne una bandiera per escludere.
C’è infatti una enorme differenza fra il noi (Lc 9,50 usa “voi”) e il me, vale a dire fra il gruppo dei discepoli e Gesù stesso. Inoltre l’espressione di Gesù “chi non è con me è contro di me”, va letta anche con il seguito: “Chi non raccoglie con me, disperde”, il che fa capire che si tratta di una constatazione, non di un giudizio.
Senza Gesù, i discepoli non possono fare nulla, ma la potenza di Dio manifestata in Gesù non è possesso esclusivo dei discepoli. L’accostamento al brano dei Numeri della prima lettura accentua questa interpretazione: Gesù rimprovera i discepoli, come Mosè fa con Giosuè, che vuole impedire la profezia non autorizzata.
Il dono dello Spirito di Dio, la profezia, e la potenza dello Spirito che agisce vanno riconosciuti, non autorizzati dai discepoli. Anzi, come testimonia l’episodio dell’incapacità dei discepoli a guarire un indemoniato (pure narrato da Marco), non è l’appartenere alla cerchia dei discepoli che abilita a “cacciare i demoni”, ma il dono di Dio e le disposizioni adatte ad accogliere questo dono.
Quante volte, a partire dalla famiglia, si sperimenta che l’auspicata armonia è sempre precaria e necessita di attenta vigilanza e premurosa cura da parte di tutti i suoi membri, nessuno escluso. Ma con la grazia del Signore e tanta buona volontà, si possono raggiungere buoni, addirittura ottimi risultati!
Le espressioni successive, accumunate dall’espressione “essere di intralcio, scandalizzare” sembrano essere state poste con intento catechetico, con formule facili da tenere a memoria. Le rinunce sono in vista di “entrare nella vita”, che nel Nuovo Testamento vuol indicare la vita in comunione con Dio. La Geenna, originariamente una valle a ovest di Gerusalemme dove si bruciavano i rifiuti, divenne in seguito simbolo di luogo di pena. “Essere gettato nella Geenna” in contrasto con “entrare nella vita” significa la rovina spirituale e forse anche la distruzione.
La precisazione “nel fuoco inestinguibile” è messa per chiarire il simbolo della Geenna ad ascoltatori che non conoscevano la tradizione legata alla valle di Gerusalemme; e l’aggiunta “dove il loro verme non muore e il fuoco non si estingue” è un riferimento al profeta Isaia (66,24). Pur senza spaventarci se le forze egocentriche dell’uomo rialzano continuamente la testa, davvero la vigilanza e la revisione si impongono a tutti i livelli. Certo è che se l’efficienza – anche quella del bene – scalza il ruolo delle persone e diviene strumento per imporsi sugli altri, allora anche l’altra, severissima, parola di Gesù, “chi scandalizza uno di questi piccoli che credono, sarebbe meglio per lui che gli si mettesse una mola d’asino al collo e fosse gettato nel mare”, ci risulta forse meno strana e incomprensibile.
Certamente un paradosso, da non prendere alla lettera, ma, appunto, un serio avvertimento. Non c’è “opera di bene” che possa calpestare con diritto qualcuno! Quando si smarrisce l’attenzione ai più fragili, esposti, poco istruiti, umili – questo il senso del termine “piccoli”, tali quindi non solo per età – è necessario riaprirsi alla forza vivificante del Vangelo per ritrovare la grazia della salvezza, per ricordare innanzi tutto che siamo dei salvati dall’amore del Signore.
Allora anche il gesto semplice e alla portata di tutti del bicchiere d’acqua offerto nel nome di Gesù, ovvero dato nella gratuità rispettosa e attenta alla singola persona, diviene manifestazione del Regno, speranza di un mondo migliore già qui sulla terra.