Grande spazio ha avuto il tema del terrorismo religioso in questa 27a edizione dell’Incontro internazionale per la pace promosso a Roma dalla Comunità di Sant’Egidio. I numeri: 250 tavole rotonde con relatori di 60 Paesi del mondo e una partecipazione di oltre 10 mila persone. Ha usato parole ferme di condanna al terrorismo e all’uso della violenza il card. Jean-Louis Tauran, presidente del Pontificio consiglio per il dialogo interreligioso: “La violenza, specialmente quella armata, è la sintesi di tutti i mali. Con la violenza, subito l’amico di ieri diventa il nemico di oggi. I riferimenti morali scompaiono e l’uomo diventa peggio di un animale. È sempre una sconfitta dell’umanità”. Ad ascoltarlo ci sono esponenti dell’ebraismo mondiale (in prima fila è seduto anche il rabbino di Buenos Aires, Abraham Skorka, amico di Papa Francesco), esponenti dell’islam e intellettuali, ma anche moltissimi studenti delle scuole romane in una sala strapiena dell’università Urbaniana. “Esistono varie forme di violenza – ha aggiunto -. Rimane senza dubbio che la forma più drammatica di violenza è il terrorismo, che ha la capacità di distruggere intere popolazioni con armi sempre più sofisticate”. La Chiesa cattolica guarda con preoccupazione e ha sempre condannato il terrorismo, soprattutto se di matrice religiosa, perché – ha detto il cardinale – “il nome di Dio è il nome della pace” e “in tutte le religioni, anche se con sfumature diverse, esiste un capitale di valori che può essere messo a servizio della giustizia, della pace, della fratellanza e della prosperità”. La scommessa per il futuro, ha quindi suggerito Tauran, si gioca tutta sui giovani, a partire dal ruolo pedagogico che possono svolgere scuole e università. Perché “la violenza si annida anche in ognuno di noi. Sia la guerra sia la pace iniziano nel cuore dell’uomo: dobbiamo lottare per evitare che la paura dell’altro e il timore del diverso abbiano il sopravvento sulla fiducia”.
Forte la testimonianza dell’intellettuale indiano Sudheendra Kulkarni, il quale ha ricordato che il Pakistan negli ultimi anni “è stato e continua a essere vittima di migliaia di morti causate dal terrorismo religioso”. Brucia ancora il ricordo dell’attentato kamikaze nella chiesa anglicana All Saints di Peshawar dove hanno perso la vita 85 uomini, donne e bambini, solo perché stavano frequentando la liturgia della domenica. “I terroristi – ha detto Kulkarni -, che commettono crimini in nome di Dio e credono che Dio sia solo dalla loro parte, generano innanzitutto divisioni nefaste all’interno dei loro stessi mondi religiosi”. Gli ha fatto eco Muhammad Khalid Masud, membro della Corte suprema del Pakistan, dicendo: “Il terrorismo religioso ha come fondamento che ciascun terrorista crede che Dio sia esclusivamente dalla sua parte. Ma i credenti si domandano innanzitutto come essere loro stessi dalla parte di Dio, che non vuole si usi violenza, piuttosto che invocare l’esclusiva presenza di Dio dalla loro parte”. Ha quindi ragione il teologo cattolico Armand Puig i Tàrrech, preside della Facoltà teologica della Catalogna (Barcellona), quando afferma: “Il terrorismo messo in atto invocando il nome di Dio è un attacco alle convinzioni di tanti uomini e donne che condividono la fede degli assassini, ma è anche un’aggressione a ogni credente”. Andrea Riccardi, fondatore della Comunità, ha sintetizzato la questione in conferenza stampa: “La lotta al terrorismo è una lotta religiosa. Non si tratta di accusare le religioni”. E non si tratta di andare al “grembo delle religioni” per verificare come e quando “nasce la logica del terrorismo”. Occorre piuttosto “riproporre l’immagine di dialogo, l’immagine delle religioni insieme, che vale nella lotta al terrorismo in maniera profonda… Perché le religioni? Perché l’uomo religioso, di fronte alla morte dei bambini e alla distruzione di un Paese, non si rassegna al fatto che non ci siano soluzioni. L’impossibile non esiste per l’uomo di fede. Del resto, la storia è piena di sorprese”.