La liturgia domenicale, per una coincidenza temporale, è incentrata sulla Commemorazione dei defunti, che per il cristiano si connette alla fede nella resurrezione. Già nel primo Testamento (prima lettura) Giobbe testimonia la sua fede: dopo la morte “vedrò Dio”. E Cristo, nel Vangelo di Giovanni, dichiara che “chiunque vede il Figlio e crede in lui ha la vita eterna; e io lo risusciterò nell’ultimo giorno”. Nella seconda lettura san Paolo ci ricorda che “la speranza non delude” perché Dio ha manifestato il suo amore per noi tramite Cristo che ci ha salvati dal peccato con il suo sacrificio.
Oltre alla promessa di resurrezione che si può ricavare dalla lettura della Bibbia, per i cristiani esiste anche il fatto, la “Primizia” della risurrezione, avvenuta in Cristo. Ciò rende più concreta, “storica” una realtà che è qualcosa di inaudito, difficile da rappresentare nella mente. È questa nuova realtà che fa dire a san Paolo: “Dov’è, o morte, la tua vittoria? Dov’è, o morte, il tuo pungiglione? (1Cor 15,55). A livello di ogni uomo e della società, esiste una incompatibilità tra la vita e la morte. La morte rimane sostanzialmente incomprensibile, non accettabile; secondo molti, questi sentimenti dominano il pensare dell’uomo e ne sono alla base di gran parte dell’agire.
La promessa della nostra risurrezione risponde quindi a un bisogno che è alla radice dell’uomo. I cristiani possono veramente avere un atteggiamento nuovo verso la morte: la speranza si contrappone alla paura. Ci sono state e tuttora esistono varie testimonianze in proposito. Non solo i martiri; ogni giorno assistiamo a comportamenti che fanno toccare con mano quanto la certezza della risurrezione influisca sulla vita dei malati, e non solo. A fronte di questi elementi positivi, che ci danno coraggio e fiducia, vogliamo però menzionare alcuni aspetti che indicano delle difficoltà, e che devono essere un incentivo al loro superamento nella nostra vita di cristiani.
a) Nella realtà culturale in cui siamo immersi c’è una chiara tendenza a rimuovere la morte. Non si muore più in casa; è invalsa quasi una ritualità caratterizzata dal ricovero in ospedale e da un insieme di atti medici che sovente non sono finalizzati ad alleviare le sofferenze, ma a sottolineare un atteggiamento di rifiuto verso la morte. La morte viene nascosta (ad es. ai bambini) come qualcosa di disdicevole; i funerali non possono “disturbare” il normale andamento di una città. Questo fenomeno, per certi aspetti spontaneo, è anche un segno della grande paura della morte, che non riusciamo a gestire e che quindi cerchiamo di cancellare. Il messaggio cristiano quindi non sembra incidere a fondo nella vita di tutti i giorni. Questo ci interroga sulla nostra capacità di testimonianza credibile e sui contenuti e modalità di proposta che ci competono.
b) Desideriamo la resurrezione, la vita eterna? Se è vero che la morte ci fa paura come fenomeno spontaneo, biologico, c’è da considerare che esiste anche l’atteggiamento speculare del voler “chiudere” con una vita vissuta come triste, a volte come fallimentare, piena di insoddisfazioni, di ingiustizia, che ci sconcerta per i tanti aspetti incomprensibili, incongruenti. Da considerare inoltre che “l’istinto di morte” è considerato da alcuni un elemento fondante del nostro essere. Questo atteggiamento è diffuso nella nostra società e può attraversare la vita di ciascuno. In queste condizioni, la prospettiva di risurrezione e di vita eterna rischia di non avere senso, di essere addirittura vissuta come qualcosa di non desiderabile.
Di fronte a ciò, come porsi? A nostro avviso, un atteggiamento ambivalente verso questa realtà è imprescindibile. A noi il compito di vivere e proporre un vita che valga la pena di essere vissuta, in cui vengano rimossi gli ostacoli che ne impediscono un pieno sviluppo, in cui prevalga la gioia, e il desiderio di una vita piena, l’incanto di fronte a tutte le realtà che ci circondano sia fatto emergere in tutta la sua forza.