Inaugurato a Kasumo il complesso scolastico

A tre anni di distanza sono ritornato, insieme a una significativa delegazione diocesana, in Tanzania, in diocesi Kigoma, nel villaggio di Kasumo, nel cuore dell’Africa. Vi ero andato tre anni fa per l’inaugurazione della grande scuola primaria donata allo Stato e vi sono tornato ora per l’apertura e la benedizione del più vasto e impegnativo complesso della scuola secondaria agraria con annesso collegio, donato alla diocesi di Kigoma.Non posso non esprimere la mia profonda gratitudine ai fedeli della diocesi per la loro generosità: nonostante la dura prova del terremoto, si è praticamente portato a termine l’impegnativo programma che ci eravamo proposti. Infatti, oltre alla costruzione di questi due grandi complessi scolastici, sono state realizzate anche molte casette per la gente più povera e sono state aiutate molte persone. La cerimonia ufficiale del 28 novembre è stata solenne e ha visto la presenza di numerose autorità, tra cui il vescovo di Kigoma, il ministro nazionale per la cultura e l’educazione, il presidente della regione e diversi sindaci della zona. Enorme e impressionante è stata la partecipazione della gente, sbucata dai vari villaggi, vestita nei tipici colori africani, frenetica nelle danze, dolcissima nei canti. E’ stata una grande festa popolare! Ero curioso di vedere i cambiamenti che aveva operato la nostra presenza in questo sperduto e dimenticato altopiano tanzaniano. Sono quasi scomparse le capanne di fango e frasche e sono sorte numerose piccole case in mattoni e lamiera. Notando la gioia di queste famiglie, che hanno coronato il sogno di un’abitazione leggermente migliore, ho pensato al cuore generoso della lontana Italia. La scuola primaria, ormai al suo terzo anno di attività, è ben tenuta e ha arricchito la sua attrezzatura didattica. Anche qui negli abiti, nei libri, nei quaderni, nelle penne usate dagli alunni ho visto la mano benefica dei fedeli della diocesi.Alcune persone hanno imparato a lavorare il legno, a cuocere il mattone, hanno appreso l’arte del muratore e realizzano perfino alcune opere di artigianato, con grande soddisfazione dell’arch. De Giovanni. Nell’intervento che ho fatto davanti a tutti non mi è stato difficile affermare di sentirmi ancora a casa, in Italia, nella mia diocesi, tra la mia gente. Tanti erano i segni che parlavano di noi! Ho sentito anche il dovere di precisare che ciò che è stato fatto è frutto non tanto di chi ha il portafoglio pieno quanto del sacrificio di persone semplici che, avendo sperimentato il sacrificio e la sofferenza, più di altri, hanno avvertito il dovere della solidarietà. Le risposte datemi dalle autorità e da singole persone mi hanno confermato nella valutazione che già avevo: questa gente è umile ma dignitosa e più che l’elemosina attende di essere aiutata a diventare artefice del proprio sviluppo e del proprio progresso. Ho sentito tante parole di ringraziamento, eppure, tornando, avverto che a ringraziare dobbiamo essere noi. La semplicità, la cordialità, l’amicizia di questa gente valgono molto di più delle opere materiali che abbiamo realizzato. Ci aiutano, tra l’altro, a cambiare mentalità, a evitare lo spreco, a non essere schiavi delle cose, a non rifugiarci in false sicurezze. Ho ammirato l’opera preziosa che svolgono le missionarie laiche Falmi, tra cui la nostra Luigia Cuppoloni, e ho pensato agli enormi sacrifici che hanno dovuto affrontare, soprattutto in passato. Ho avuto l’occasione di visitare alcuni cimiteri e di sostare in preghiera davanti alle tombe dei missionari, tra cui molti italiani, anche giovani. Riposano nei luoghi in cui hanno impiantato il Vangelo, avviato le prime scuole ed educato le genti a importanti attività lavorative. Mi sembrava di sentirli ancora vivi e operanti, anche perché, come mi hanno assicurato, tutti hanno desiderato riposare in questa terra, da loro servita e amata come propria. Se oggi la Chiesa in Africa è bene impiantata, è in grado di gestirsi autonomamente ed è in continua crescita, anche se bisognosa di consolidare le sue radici cristiane, tutto è dovuto a questi generosi missionari. C’è chi è andato in Africa alla ricerca di ricchezze da espropriare, di bellezze uniche da ammirare e di esperienze esotiche da compiere. I missionari vi sono andati unicamente per amore di Cristo e degli africani: non hanno portato via nulla, hanno solo dato. Ho partecipato ad alcune Eucaristie. Qui le Messe durano non meno di due ore e mezza, sono molto partecipate, pienamente inserite nella cultura africana, ricche di canti. Costituiscono un momento di festa, di fraternità e di condivisione. Noi, presi dall’inesorabile ritmo frenetico della vita, abbiamo curato il numero e la quantità delle Messe, gli africani hanno pensato alla qualità; noi abbiamo inculcato il dovere di soddisfare un precetto, gli africani hanno mirato a far capire l’importanza di un incontro gioioso con il Signore. Anche dall’Africa possiamo e dobbiamo imparare, come confermano i giovani e gli adulti della diocesi, che hanno svolto, proprio qui a Kasumo, i loro campi di lavoro.

AUTORE: Mons. Sergio Goretti