Parlare di Dio è irrinunciabile. Nella sala destinata all’accoglienza dei visitatori, praticabile a qualsiasi ora del giorno, i Monaci di Montecorona hanno scritto: “Ciò che non è eterno non è nulla”. Ovvio. E shoccante, come non possono non esserlo le cose ovvie ma non banali.Parlare senza parlare di Dio è il più lacrimevole dei non sensi. Certo, ogni discorso sui valori è sempre e comunque un discorso su Dio; quando non si tratta di valori pretestuosi, che mascherano innocui principi giocati tutti sul razionale, atti a somministrare alla coscienza piccole dosi di anestetico, ma di valori autentici, di mozioni fondamentali dello spirito che attivano scelte vitali: solo allora il discorso sui valori è discorso su Dio. Ma il discorso sui valori non basta, per l’antica esigenza che hanno tutti i sistemi di analogie: sui tempi lunghi e nelle problematiche più complesse i sistemi di analogie si reggono solo a patto che ad un certo punto l’analogatum princeps si dichiari e legittimi l’analogatum minus; a titolo di esempio, a che patto si può garantire valore definitivo al valore della solidarietà, sottrarlo alla povera logica delle “Partite del Cuore”, liberarlo dall’esile cappa soffocante dell’effimero? Solo a patto che l’analogatum princeps si riveli come identificazione fra Essere e Solidarietà. In termini cristiani, solo quando ci viene detto che nel profilo del volto dell’Emanuele l’essere vicino non è una delle tante caratteristiche, ma il suo tratto essenziale. A questo punto il problema diventa tutto come parlare di Dio. Un problema del tutto parallelo all’altro, come amare Dio. Mi pare che la risposta non possa essere che una sola: parlare e amare in maniera assoluta dal cuore di questa nostra storia di uomini che è il regno del relativo. Rifiato un attimo e sono da voi.