In questo nostro tempo, in cui, come ha detto il Papa nella sua visita a Malta, ci sono “voci persuadenti che cercano di mettere Dio in un angolo”, la liturgia della Chiesa ci invita a riflettere proprio su Dio e il suo mistero. Quel Dio che Gesù ci ha svelato, per quanto è possibile intendere ad una creatura razionale ma non infinita, nel suo mistero e nella sua identità, parlandoci soprattutto della connotazione di Dio come “Amore che ama come un padre”, mentre la prima rivelazione ce l’aveva svelato come “Colui che è” (Es 3,14), per il quale essere ed esistere coincidono. Vengono alla mente le parole del più grande poeta teologo che per grazia di Dio abbiamo, Dante Alighieri, il quale s’azzardò a racchiudere nel breve volgere d’una terzina tutto l’umanamente pensabile non solo di Dio, ma del Dio cristiano che è Trinità ineffabile – letto con la chiave della luce – verità: “O luce etterna che sola in te sidi, Sola t’intendi, e da te intelletta e intendente, te ami e arridi!” (Paradiso, canto XXXIII, vv. 124-126).
Interpretando alla lettera per meglio capire il linguaggio teologico-poetico di Dante, traduciamo così: “O luce eterna, che sola sussisti in te stessa e perfettamente comprendi, e come tale sei il Padre; e in quanto sei perfettamente compresa sei il Figlio; e perfettamente comprendente come Padre e nell’essere perfettamente compreso come Figlio, spiri lo Spirito santo come amore e letizia!”. È vero che queste considerazioni, fatte con linguaggio umano sempre inadeguato per parlare del Trascendente, sono proprie della scienza teologica, che è pur sempre scienza chiamata a penetrare, per via intuitiva e per via mistica ma senza dimenticare l’afflato razionale, il Mistero per antonomasia che ci trascende e ci pervade: “In Dio siamo, ci muoviamo ed esistiamo, perché di lui anche noi siamo stirpe” (Atti 18,28). Così Paolo parlava nell’aeropago di Atene. Il nostro però è sempre un balbettio per dire l’inesprimibile, che nell’Antico Testamento veniva inteso come Sapienza, personificazione di Dio e sua opera. E la Sapienza di Dio grida in ogni momento la sua gioia di esistere e di creare: “Ero la sua delizia ogni giorno, giocavo davanti a lui in ogni istante”.
La creazione che continuamente si rinnova è il gioco di Dio che prosegue. La seconda lettura è pur essa un cantico di lode all’opera redentiva del Figlio. È Paolo, esperto della misericordia di Gesù nei propri riguardi, che afferma con forza che la vita nuova in Cristo dona pace e speranza anche nelle tribolazioni. Il percorso abituale del cristiano dalla tribolazione sfocia nella speranza, passando per i gradini della pazienza e della virtù messa a prova: tribolazione come terreno di coltura d’ogni virtù. La speranza è considerata ancora una volta come certezza, perché radicata nell’amore di Dio riversato nel cuore dallo Spirito santo. Viviamo comunque all’interno d’una speranza-certezza inossidabile, che è data dalla presenza e dall’azione dello Spirito di verità, terza Persona del Dio trinitario cristiano. “Quando verrà Lui – ci assicura Gesù -, vi guiderà a tutta la verità: dirà tutto ciò che avrà udito e vi annunzierà le cose future. Egli mi glorificherà”.
Viviamo ora il tempo della Chiesa, che è il tempo specifico dello Spirito. È lo Spirito che guida la Chiesa nelle grandi accelerazioni che essa è chiamata a vivere: per questo non ci assale né lo sconforto né la paura. È dello Spirito la realizzazione della promessa: “Faccio nuove tutte le cose!” (Ap 21,5), e quindi il pieno compimento del Vangelo, perché finalmente Dio sia “tutto in tutti” (1 Cor 15, 28). La comunità cristiana è abituata a menzionare la Trinità santissima come inizio e conclusione d’ogni azione liturgica. Il bambino impara attraverso il segno della croce che due sono i misteri più grandi da accogliere: l’unità e la trinità di Dio, come dicono le parole; la passione, morte e risurrezione di nostro Signore Gesù, come indica il segno della croce. Nel nome della Trinità inizia la vita nuova di figlio di Dio con il battesimo, nel nome della Trinità ognuno di noi conclude la sua esperienza terrena. Che l’uso frequente del segno della croce e l’indossare continuamente il segno della propria identità cristiana, cioè il piccolo crocifisso donatoci nel battesimo, tornino nell’uso dei credenti, con convinzione e fierezza.