Paolo Bustaffa – Ora che i tempi della partita elettorale sono conclusi e ci sarà qualche tempo di recupero con i ballottaggi, si ripropone nella sua interezza – e libera dal linguaggio degli schieramenti – la domanda sull’idea di città. Ci sono state diverse risposte da parte dei candidati prima del voto del 3-4 ottobre, ma perlopiù lasciavano intravvedere la lettura di singoli aspetti e la preoccupazione di ottenere consenso. Si è frammentata la città, si sono fatte promesse per lo sviluppo del singolo ambito, e troppo debole è apparso il pensiero sull’insieme.
“Per me la città – scriveva David Maria Turoldo – è quello che è: un punto in cui il complotto della vita diventa inestricabile, una zona dove tutti i sentimenti sono vivi, si chiamano, si rincorrono, interferiscono con le radici o le ramificazioni nodose di un antico bosco”. Questa immagine descrive una città in cui le due parti, il centro e la periferia, non si respingono ma si cercano, non tagliano i rami ma li intrecciano, non si ignorano ma chiedono di incontrarsi in nome di una comune cittadinanza.
Questo processo culturale e sociale non avviene, oppure è ancora troppo fragile. “La stessa parola ‘città’ – scrive Salvatore Settis, storico dell’arte – oggi ci interroga con crescente urgenza, e proprio perché anche le preziose città storiche sono assediate da periferie sempre uguali”. Questo assedio urbanistico costringe il centro a difendersi, a chiudersi in se stesso per proteggersi; mentre il futuro della città, antica e moderna, è nel dialogo tra le diversità e nella convivialità sociale delle differenze.
Nell’ultima campagna elettorale non è apparsa l’idea di “città dell’uomo” che ha mosso il pensare e l’agire in politica di Dossetti, Lazzati, La Pira, Martinazzoli, Anselmi. Forse era troppo difficile, forse non era il momento, forse la pandemia ha impedito di sognare, forse… Una politica mediocre ha mancato all’appuntamento, ma non tutto è perduto. “Dalla decadenza e dalla morte – scrive ancora Settis – può venire la speranza e la vita, e l’idea di città non si sottrae a questo destino. Anche quando più incerto è il suo futuro, vale sempre la pena gettare il seme di una possibile rinascita e vale la pena chiedersi come alimentarlo”.
La città si aspetta che ci siano uomini e donne pensanti, che vigilino, che siano di esempio nell’attitudine a interrogarsi, a discernere, a far memoria della fedeltà, ad ammonire quando è necessario.