Si concluderà nella giornata di oggi, venerdì 20 novembre, a palazzo Cesaroni, il convegno di due giorni sul tema “Distrutti, a rischio, valorizzati. Patrimoni industriali in Umbria”. Un argomento di stretta attualità, considerato l’alto numero di siti dismessi che il progresso tecnologico, ma non solo, ha lasciato dietro di sé nella nostra regione. Patrimoni spesso identificativi della fisionomia di un determinato territorio, del suo processo di industrializzazione, e per questo meritevoli di attenzione e tutela. Scopo del convegno, promosso dall’Istituto per la cultura e la storia d’impresa (Icsim) di Terni, dall’Aipai Umbria, in collaborazione con l’Istituto per la storia dell’Umbria contemporanea (Isuc), è quello di alzare la voce su un problema che sembra aver subito una caduta di interesse da parte delle istituzioni regionali preposte. Istituzioni che dovrebbero rappresentare gli interlocutori principali di quest’opera di tutela e valorizzazione. “Manca al momento una legislazione regionale di riferimento – spiega il prof. Renato Covino, dell’Università di Perugia, nonché direttore dell’Icsim – che permetta, prima di distruggere un edificio industriale o simile, di capire che cosa si sta distruggendo, considerandone gli equilibri nel costesto territoriale, studiando formule alternative. Una normativa di riferimento – prosegue – potrebbe essere un utile strumento di difesa dai rischi derivanti dal nuovo Piano casa, che presenta alcuni elementi di criticità, nei confronti dei siti dismessi, facendo pensare che in queste aree si possa fare quello che si vuole” conclude. Covino ha poi sottolineato il valore culturale di tali beni, che andrebbero inseriti a pieno titolo nel nuovo Codice dei beni culturali. Un concetto condiviso anche dal direttore dell’Isuc Mario Tosti, dal cui istituto vennero anni fa i primi cenni di sensibilizzazione sull’argomento. Per Tosti “non è necessario conservare tutto, ma non per questo bisogna distruggere”. Diversi sono gli elementi di cui tener conto prima: soprattutto i costi della demolizione, da valutare in relazione a quelli di un’eventuale valorizzazione ai fini di un riuso, anche parziale. L’Umbria è stata la prima regione a realizzare un catalogo regionale dei siti industriali. Poi anche i singoli Comuni si sono attivati, sostenendo l’apertura di musei e la pubblicazione di cataloghi. Ma ancora molto deve e può essere fatto. Se ne sta discutendo in questi giorni, partendo dai siti più critici, quali il tabacchificio di Perugia, lo zuccherificio di Foligno, il mercato coperto di Perugia, le cartiere di Foligno, i pastifici Petrini di Bastia Umbra, Ponte San Giovanni e Cappelletti di Todi, le fornaci di Santa Maria degli Angeli di Foligno, per citarne alcuni. Per poi passare ai progetti di riuso e recupero, fino a quelli andati a buon fine. Tra questi il museo del laterizio di Marsciano, con le antenne museali di Spina e Compignano, un percorso sui luoghi della civiltà contadina, artigianale e industriale della nostra terra. E poi il museo del vetro di Piegaro, il museo del tabacco di San Giustino, il recente museo delle miniere di Spoleto, l’ex Siri di Terni. Vedremo cosa verrà fuori dal convegno.
Impianti dismessi ma non da distruggere
Archeologia industriale. Convegno sui “reperti” presenti in Umbria, che spesso non vengono valorizzati, oppure rischiano indebite distruzioni
AUTORE:
Manuela Acito