La riforma della giustizia è un refrain che fa da colonna sonora non solo alla nostra vita politica ma a quella di tanti paesi del mondo. Certo, difficilmente in Italia si arriverebbe a proporre una legge come quella che è stata approvata qualche giorno fa in Messico su proposta del partito di maggioranza e del presidente uscente Andres Manuel Lopez Obrador (Amlo).
La riforma del Potere giudiziario in Messico è passata con 86 voti favorevoli e 41 contrari e prevede che dal primo gennaio, oltre settemila giudici – dalla Corte Suprema ai tribunali locali – saranno votati dagli elettori e non più designati mediante nomina e concorso. La nuova legge ha provocato un’ondata diffusa e potente di proteste in tutto il Paese culminate con l’occupazione dell’aula del Senato.
La ragione della riforma è di garantire, tramite l’elezione dei magistrati, una maggiore indipendenza degli stessi dal potere politico ma è altrettanto vero che in un Paese molto condizionato dall’attività dei partiti e da un controllo asfissiante della criminalità organizzata di parte del territorio, è tutt’altro che certo che il nuovo sistema serva a sconfiggere e non a rafforzare la corruzione. La storia dovrebbe aver insegnato ampiamente che il voto è una delle condizioni indispensabili della democrazia ma non l’unica.