È stata celebrata al Cimitero di Terni, dal vescovo della Diocesi di Terni-Narni-Amelia, padre Giuseppe Piemontese, la Santa Messa per la commemorazione di tutti i defunti, alla presenza del prefetto Emilio Dario Sensi, del sindaco Leonardo Latini, del questore Bruno Failla, delle massime autorità e civili e militari cittadine, delle associazioni combattentistiche e d’arma, concelebrata dal vicario generale della diocesi monsignor Salvatore Ferdinandi, dal cappellano del cimitero padre Mario Lendini e da numerosi sacerdoti della città. Una ricorrenza che accomuna, nel ricordo dei defunti, non solo i credenti ma tutte le persone che si sono recate in questi giorni al cimitero. Una tradizione che è segno di un legame di amore, ravvivato nella preghiera e nel ricordo.
Dopo la celebrazione è seguito un momento di raccoglimento all’interno del cimitero e la benedizione da parte del Vescovo delle tombe lungo i viali del cimitero, ricordando i defunti a causa della pandemia, ma soprattutto tutti quei i morti che sono stati privati di una degna sepoltura.
L’omelia del vescovo nella commemorazione dei defunti
“Siamo qui, come comunità ecclesiale -ha esordito monsignor Piemontese- per testimoniare la nostra convinta fede e ferma speranza nella risurrezione di Gesù, ma anche della risurrezione nostra e dell’umanità intera. Lo facciamo con la memoria dei nostri cari, con la celebrazione della Messa, con la preghiera. Ma siamo qui anche come comunità civile, rappresentata dalle Istituzioni civili e militari: una famiglia unica, che ricorda e piange i propri figli, tutti, specie quelli che hanno lasciato questo mondo e la comunità in maniera prematura per malattia, disgrazia, calamità naturali, o violenza: i morti sul lavoro, negli ultimi tempi, ahimè notevolmente aumentati, tutti quelli, civili e militari, che hanno perso la vita nell’adempimento del dovere.
Oggi nel ricordo dei defunti vogliamo riportare alla memoria il giorno, quando in piena pandemia e quarantena generale, insieme al sindaco Latini, o ai sindaci di Narni e Amelia, ho pellegrinato tra i viali dei rispettivi cimiteri, chiusi al pubblico, per rendere onore ai defunti, sepolti in fretta a causa della pandemia, senza liturgia funebre e senza la presenza devota e testimoniale dei familiari.
A fino ottobre 2021, secondo l’OMS sono 245 milioni i casi di Covid confermati nel mondo dall’inizio della pandemia, mentre i morti sono cinque milioni.
Solo in Italia i casi confermati sono 4.757.231 mentre i morti 132.004.
In un momento di relativa tregua della pandemia -ha proseguito il vescovo- siamo invitati a riparare a quelle sepolture veloci e disadorne, a commiati quasi strappati e veloci, e a rendere onore ai nostri morti con la presenza, il pellegrinaggio carico di pietà, la Santa Messa e la preghiera. Per ripartire da questa esperienza più coraggiosi ed entusiasti nella cura e promozione della vita e del convivere civile.
Nel tempo critico della pandemia siamo stati costretti a guardare in faccia la morte. Gli stessi mezzi di comunicazione sociale ce l’anno mostrata in forme impressionanti.
E tuttavia, pur essendo circondati dalla morte, a volte testimoni della morte in diretta attraverso la televisione, la nostra generazione, specie la società occidentale, in alcune larghe frange ha un atteggiamento contraddittorio verso il fine vita, quel momento decisivo per ogni uomo o donna che è la morte. Alcuni con temeraria incoscienza si dedicano a sport, scommesse, giochi o abitudini che sono via alla morte o che in moltissimi casi, hanno come epilogo la stessa morte per se e per gli altri.
La consapevolezza della preziosità e unicità della vita, patrimonio di ogni esistenza -ha aggiunto- viene oscurata o peggio messa alla prova. Tutto ha origine dall’aver rinunciato al principio della indisponibilità dell’esistenza di ogni persona, uomo o donna, bambino o vecchio, sano o malato, persino della propria esistenza. Il rispetto, la cura, la venerazione di ogni persona, che per i cristiani è dono e immagine di Dio, conduce quasi alla devozione verso ogni persona, alla cura del corpo, all’accompagnamento rispettoso e devoto anche nel momento della fragilità, della malattia e della morte. In nome della libertà si tenta di abbattere il principio del valore primario dell’esistenza umana.
E tuttavia la gran parte degli uomini di fronte al momento decisivo della morte tendono a rimuoverla; e perciò quando si affaccia il suo pensiero o si avvicina, si è presi dall’angoscia.
Solo chi con saggia e appropriata riflessione la guarda in faccia, ne vince la carica di angoscia, l’affronta con coraggio e serenità.
I santi, che sono animati dalla fede in Gesù, morto e risorto, hanno imparato a non temerla. Ci viene in mente l’esperienza di san Francesco d’Assisi:
Con la grazia di Dio non sono un codardo che teme la morte. Sono così intimamente unito a Lui, che sono ugualmente felice sia della morte che della vita.
Egli aveva imparato a chiamarla sorella, il suo transito verso la vera vita. Invitava pure tutte le creature alla lode di Dio, e con certi versi, che aveva composto un tempo, le esortava all’amore divino. Perfino la morte, a tutti terribile e odiosa, esortava alla lode, e andandole incontro lieto, la invitava ad essere suo ospite: Ben venga, mia sorella morte!.
Molti uomini e donne non credono all’aldilà, alla vita dopo la morte. E tuttavia tutti sentiamo che i nostri cari, che ci hanno lasciati, continuano ad essere vivi, ci sono presenti.
La fede ci dice che essi vivono in Dio. Nell visione grandiosa del libro dell’Apocalisse viene mostrata la città santa, la Gerusalemme celeste, che accoglie tutti i morti: Dio asciugherà ogni lacrima dai loro occhi e non vi sarà più la morte né lutto né lamento né affanno, perché le cose di prima sono passate (Ap 21).
Oggi rinnovo l’invito a lasciarci guidare dalla fede, che è il nostro sostegno, il timone nella fatica della vita e nella lotta contro la morte.
Fratelli e sorelle, non dobbiamo attendere la fine dei tempi per incontrare i nostri cari defunti. La preghiera, la meditazione della Parola di Dio e la carità sono lo spazio di condivisione, di sentimenti e di dialogo con chi abbiamo amato, abbiamo curato e accompagnato.
Ma soprattutto la Santa Messa è celebrazione della vita e incontro in Gesù con chi è morto.
Onoriamo i nostri morti -ha proseguito il presule- le tombe dei nostri cari, che abbiamo amato, che sono stati santificati nel battesimo e nei sacramenti, e che ora sono in attesa della risurrezione, insieme a Gesù, a Maria, ai santi agli altri nostri cari defunti.
Ci ritroviamo al cimitero, nel nostro appuntamento annuale di memoria dei defunti.
La parola cimitero deriva dal greco (κοιμητήριον=koimetérion,) e significa luogo di riposo, casa delle persone che non sono più tra noi, luogo della memoria dei trapassati, giardino del pianto, spazio della speranza. Attesa della risurrezione.
Siamo venuti quasi per una festa sommessa o meglio per l’incontro con coloro, che abbiamo amato, specie di coloro che di recente ci hanno lasciato, in un desiderio di custodire e ravvivare il ricordo e rinnovare la presenza e la relazione di persone familiari ed amici. Nei cimiteri i nostri avi, fin dagli albori dell’umanità, hanno custodito la memoria dei propri cari, così i cristiani nei cimiteri presso le catacombe, hanno circondato di onore i corpi e i resti dei propri cari, avi, santificati dai sacramenti, dal battesimo, dall’Eucarestia dal sigillo dello Spirito Santo.
Con questi sentimenti -ha concluso il vescovo di Terni- viviamo questo momento di liturgia collettiva, di rispetto e venerazione di chi ci ha preceduto, e di consolazione per tutti noi concittadini di questo mondo che condividono un tempo, un luogo e uno spazio nel rispetto e nella cura della vita e che siamo animati dalla speranza di condividere l’eternità con tutti gli uomini, con quelli che ci hanno preceduto, con tutti i santi, con Maria Santissima, in Gesù Cristo”.