di Giovanni Ramonda
Molti ritengono che, se un popolo viene aggredito militarmente, abbia diritto a difendersi anche con le armi. L’articolo 11 della Costituzione recita: “L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le nazioni”.
Certamente ogni Paese ha diritto di difendersi, lo afferma anche la dottrina sociale della Chiesa. Questo non toglie che bisogna assolutamente lavorare per prevenire i conflitti e per avere organismi sovranazionali che tutelino i popoli senza scatenare guerre, sviluppando un dialogo costruttivo. L’“occhio per occhio, dente per dente” ha sempre creato morte e distruzione. Oggi continuare ad alimentare la guerra giocando sul sistema degli equilibri e delle reazioni controllate è rischiosissimo, data la continua minaccia di un’evoluzione nucleare del conflitto che avrebbe conseguenze disastrose.
La rivoluzione che salva il mondo è l’amore al nemico. Deporre le armi, anzi bando alle armi, all’odio, all’indifferenza. Salva il mondo la nonviolenza della croce, l’amore di Cristo che ha dato la vita pregando per i suoi persecutori. Il paradosso della guerra in Ucraina, a un anno dal suo inizio, è che è attuata tra popoli cristiani, addirittura invocando la religione per giustificarla.
La spirale della violenza può essere interrotta solo dall’amore al nemico, togliendo questo comando dalla sola lettura individualista a quella comunitaria e sociale. Questa è l’autentica visione dei giovani che vogliono la pace: vincere la violenza con la nonviolenza per interrompere la follia della guerra, come espresso più volte da Papa Francesco.
L’unico modo per fermare le guerre è disarmarle. Ogni arma usata procura morte, arrivando a migliaia di giovani morti, sia russi che ucraini, e molti civili tra cui bambini. Il vero pacifismo non è discutere sulla pace nei salotti ma andare a vivere nelle zone di conflitto, come fanno i giovani dell’operazione Colomba, corpo civile di pace della Comunità Papa Giovanni XXIII. Sottrarre i soldi agli armamenti per costruire pozzi d’acqua distrutti dai bombardamenti, per puntare a una ricostruzione per dare scuole e ospedali al popolo stremato da un anno di fuga e distruzione.
Bisogna istituire un ministero della Pace per educare le nuove generazioni a convivere, costruire relazioni nuove, basate sul dialogo e sulla giustizia. L’uomo da sempre ha giocato con la guerra sulla pelle dei più deboli; è tempo di una rivoluzione culturale per scegliere la pace con politici coraggiosi che sappiano rischiare delineando una nuova visione delle relazioni internazionali.
Giovanni XXIII nella Pacem in terris richiama all’assoluta necessità che tutti “hanno diritto all’esistenza e a un tenore di vita dignitoso, per quanto riguarda l’alimentazione, il vestiario , l’abitazione, le cure mediche, i servizi sociali necessari. Il diritto di onorare Dio secondo il dettame della retta coscienza. Il diritto di emigrazione e di immigrazione. Che l’autorità non può essere serva dell’interesse di uno o di pochi ma deve essere a vantaggio del bene comune. Che bisogna sapere leggere i segni dei tempi nella verità e nella giustizia. Che nulla è perduto con la pace e tutto può essere perduto con la guerra”. Oggi tocca a noi. Questo è il tempo della responsabilità e della preghiera per invocare da Dio il dono della pace.